sabato 21 ottobre 2017

Letture dimenticate (ovvero: su "La Morte a Venezia" di Thomas Mann)

Certi libri, magari brevi, che si leggono in estate ricordano i classici "amori" adolescenziali che nascono nella stessa stagione: finiscono presto e ce ne si dimentica con la stessa rapidità.
Mea culpa!, mi dico sorridendo. Perché "La Morte a Venezia", per quanto non sia un romanzo di ampio respiro, non è affatto una lettura di poco significato. Ecco, quindi, che mi sovviene un altro dettaglio: sembra quasi che, ultimamente, mi stia facendo amico Thomas Mann. Quando stavo ricominciando a leggere "Doctor Faustus" nemmeno ci avevo fatto caso. Me ne sono accorto soltanto la scorsa domenica, al mercatino di Imbersago, quando, fra i libri usati che ho scelto di comprare ce ne erano ben due altri dello stesso scrittore, dedicati prevalentemente ai racconti.

Tornando alla Morte a Venezia, a suo tempo lo scelsi perché ne avevo sentito parlare (o almeno non mi era nuovo il titolo), e perché, sostanzialmente, sono almeno due anni che vorrei concedermi una vacanza per visitare la città lagunare -che non ho mai vista, ahimé- ma non mi è ancora stato possibile.
La trama del racconto/romanzo breve narra gli ultimi momenti della vita dell'artista Gustav von Aschenbach, "appesi" totalmente -e drammaticamente- alla figura di Tadzio, un ragazzino polacco dai tratti efebi e soffusi. Aschenbach, recatosi a Venezia nella speranza di trovare un luogo salubre nel quale riposarsi dai suoi sforzi creativi -una creatività rigorosa, disciplinata quasi al limite, che non si concede deroghe- si imbatte in una città sempre più assalita dal virus del colera, che nemmeno a lui lascerà scampo. Egli, dopo un sogno caratterizzato da esperienze orgiastiche e dionisiache, si riconosce sempre più sedotto dalla bellezza di Tadzio e prigioniero del desiderio sessuale di lui. Ecco, quindi, che si imbatte prima in scambi di sguardi sempre più insistenti, e poi in inseguimenti e pedinamenti per gli infiniti vicoli della città, in bilico tra la totale perdita del dominio di sé ed il pendere dai movimenti del ragazzo, con lo sgomento di come ciò possa accadere ad un uomo dalla tempra e dall'onore come i suoi. Alla fine, estenuato dalla malattia -della quale non sembra curarsi, incatenato com'è alla sua brama- si accascia e muore sul lido, dedicando gli ultimi sguardi al suo adorato Tadzio (il quale, a sua volta si stava dirigendo in acqua dopo un litigio con gli amici), immaginandosi in un altrove nell'intento di raggiungerlo.

Ancora una volta, troviamo nello scrivere di Mann il suo lato omosessuale sempre "represso" e dolorosamente vissuto. Inoltre, così come per la figura di Adrian in "Doctor Faustus" egli si ispirò, per il lato estetico, ai tratti di un vecchio amore non corrisposto, ed alla descrizione della musica -dichiaratamente, e con tanto di post a conclusione del romanzo- allo stile dodecafonico di Schoenberg, per von Aschenbach sembra si sia ispirato duplicemente alla figura di Gustav Mahler (del quale condivide il nome) ed al poeta August Von Platen, il quale venne a Siracusa per turismo sessuale e lì morì di colera.

Lo stile narrativo è inconfondibile, con le sue frasi articolate, con vocaboli spesso ricercati e approfondimenti nonostante la brevità. E', comunque, una sorta di novella che si lascia leggere piacevolmente, forse più passionale e istintiva anche del "Faustus", nella quale dominio di sé e impossibilità di frenare le proprie pulsioni anche più "vergognose" fuoriescono senza tanti fronzoli; Aschenbach è il prototipo della persona che si riconosce in un certo modo, ma che esperienze altre lo porteranno a cambiare idea e a sondare nuove profondità del proprio io.
Il ritmo è avvincente, meno frastagliato o "affaticato" del solito Mann, il quale si concede meno spazio a dispersioni e specificazioni, meno possibilità di perdersi in sentieri secondari. Ancora una volta, ma senza per questo apparire meno interessante, la figura della perdizione del sé di un artista, che sembra estirparsi dall'epoca romantica e trapiantarsi ad un contesto storico più vicino ai nostri giorni. Come per dirci che certe inclinazioni umane non finiscono mai di indurci a fare i conti con noi stessi; o come per ricordarci che ognuno di noi si conosce alla perfezione, ma soltanto fino a che non approccia ad un mondo o ad esperienze fino ad allora mai vissute, le quali possono stravolgere se non addirittura ribaltare l'idea che di noi ci si era data ormai per "assodata".

Lettura consigliata, almeno secondo il mio modesto parere.
Curioso anche che, da quando ho ripreso il "Faustus", sia finito apparentemente (?) involontariamente (?) a cercare altri suoi libri, altri suoi racconti, altri suoi scritti.

A presto!

Andrew

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