venerdì 22 marzo 2024

Parma: Pletnev o l'elogio della quiete

Ciao a tutti!

Dopo qualche mese di impegni, torno per condividere il mio ultimo articolo scritto per Le Salon Musical. Si tratta della recensione - a tratti un po' personale forse - del concerto che il pianista russo Mikhail Pletnev ha tenuto presso il Teatro Regio di Parma, lo scorso 18 Marzo.

In programma c'erano i 24 Preludi Op.11 di Scriabin e il 24 Preludi Op.28 di Chopin.

Purtroppo il teatro vieta ogni forma di fotografia, pertanto non è stato per me possibile fare qualche scatto.

L'articolo si può leggere sul sito de Le Salon Musical, a questo link, oppure qui sotto, per esteso:

"Un Pletnev a tratti inaspettato, quello che si è potuto ascoltare lunedì scorso, 18 Febbraio, al Teatro Regio di Parma. In programma, i 24 Preludi Op.11 di Scriabin e i 24 Preludi Op.28 di Chopin. La scelta di anteporre il compositore russo, successivo al maestro polacco in termini cronologici, mostra una evoluzione “al contrario”, che presenta prima il risultato e poi il punto di partenza – o quanto meno di ispirazione.

Il pianista si presenta sul palco con la sua consueta calma, quasi sacerdotale, ma attacca alla tastiera senza quasi sedersi. Il primo preludio di Scriabin si apre quieto, non certo Vivace come da spartito, ma ampio, che respira. Pletnev si prende il tempo si lasciar viaggiare il suono – un suo tratto distintivo, si potrebbe dire – e che esso si esprima tanto quanto i temi o gli intrecci polifonici della scrittura. Ecco che i segni del tenuto, sparsi qui e là sulla parte, divengono canto immaginario, tema nascosto – proprio come in Chopin (si pensi ad esempio allo studio in Sol bemolle dell’Op.25). Anche il fortissimo finale non è un vero e proprio fortissimo; è piuttosto una generosità di risonanza, col pedale sempre dosato con attenzione, di quell’ottava di do bassa, che si sparge nel teatro come un’onda senza spigoli.

Questa è l’impronta che non solo i Preludi di Scriabin avranno durante la serata, ma anche quelli di Chopin. Pletnev sembra riscoprire qualcosa di valore che risiede nella calma. Ma non tanto quella dei tempi seduti o dei caratteri esangui, quanto nelle grandi tensioni ma sorde, sommerse; nell’ascolto profondo e nella meditazione lucida sugli struggimenti, sui dolori e le agitazioni che animano e generano alcune di queste pagine.

Da questo punto di vista, la prima parte del concerto è stata resa con una chiarezza e una permanenza di grande rilievo. Quasi ogni preludio era connesso al precedente grazie al sapiente uso dei pedali, o di alcune risonanze. La visione è nitida, giunge senza interferenze. Eppure sembra ci sia una sorta di abbandono, dietro. L’abbandono di un punto di vista, ora inattuale, che attribuiva a queste brevi pagine qualità esibizionistiche aldilà delle quali Scriabin sembrerebbe adombrare l’anima, in favore di un altro che ne raccoglie l’intimo animo di confessioni, a tratti quasi di estatiche improvvisazioni, che mettono a nudo il compositore, dando maggiore dignità alla sua essenza di essere umano oltre che di musicista.

Pensiamo a preludi come il n.4, in Mi minore, dove alla linea cromatica narrante della sinistra si alterna un controcanto della destra, resi da un Pletnev che scava nella sua esperienza di direttore d’orchestra, attribuendo timbri diversi, riconoscibili e distinguibili. Oppure ad altri come il n.6, il n.8 o il n.11, dove l’agitato diviene qualità interiore invece che di metronomo – il n.8 in particolare, in cui l’agitazione si trasforma in esitazione, dubbio. Questa rinnovata visione trasforma anche il celebre n.14, che rinuncia indubbiamente un vero e proprio Presto per esaltare il “canto” della sinistra, i piano, i mezzoforte, o gli sforzati della destra; abbandonando la violenza di altre interpretazioni, specie nella chiusura. Il n.16 stupisce per la delicatezza delle parti non tematiche – essenzialmente sussurrate – e il tema che richiama immediatamente la celebre Marcia Funebre chopiniana. Il n.18 si allontana dalle esecuzioni degli anni ’90, alleggerendo moltissimo le ottave della sinistra e dando alla destra maggiore rilievo. Si arriva, così, senza quasi rendersi conto, al n.24, che chiude il ciclo con un Presto molto elastico, scorrevole senza rompere le legature, e con degli accenti che, ancora una volta, trattengono e fanno risaltare chiusure di frammenti, cambi di armonia. Solo in coda il tempo si dilata, e torna a un’immagine sonora vicina a quella del n.1, dove i cicli del suono hanno valore primario e le risonanze viaggiano rotonde.

Dopo una breve pausa il pianista russo torna sul palco, e con la stessa subitaneità attacca il primo preludio di Chopin – questo è sì agitato, ma delicato, esaltando la linea “del pollice” della mano destra – ma è il secondo a stupire: l’andamento non è propriamente Lento, anzi è quasi agitato (forse il tempo tagliato ha dato adito ad una interpretazione meno seduta del brano); e il mormorio lamentoso della sinistra, dall’uniformità di tocco impressionante, è invadente, è elemento che sembra voler disturbare l’eloquenza del canto della destra. Il preludio n.3 è giustamente Vivace (ma non velocissimo come in certe esecuzioni), e il moto perpetuo della sinistra ha quasi il timbro “sillabato” di un clarinetto che quello di un violoncello.

Un elemento curioso di questa esecuzione chopiniana di Pletnev, mantenendo l’approccio “umanizzante” e introspettivo già citato per Scriabin, è stato quello di moderare le velocità rapide e di sostenere i Largo o i Lento assai, facendo in modo che il suono dei cantabili rimanesse percepibile. Questo è accaduto, ad esempio, nei preludi dal n.4 al n.7 (ma anche per il n.9). Con il n.8 Pletnev si riavvicina al n.1 per certi versi, esaltando quasi solo “i pollici” e sussurrando tutte le altre note della destra.

Passando per il n.12 in Sol diesis minore, caratterizzato da una gamma di varianti del forte molto elastica e mai violenta, e il n.13 di cui è doveroso citare la sezione centrale, Più lento, per l’incredibile maestria orchestrale – in particolare negli accompagnamenti della mano sinistra – si arriva a preludi come il n.14 o il 16. Pletnev qui è sembrato avere una sorta di momento di disconnessione, di separazione dallo stato estatico in cui si trovava immerso, e avere qualche cedimento, qualche smarrimento, e così è stato, bene o male, fino alla conclusione del ciclo. Il n.14 è molto più lento che in passato, e non sembra veramente a fuoco; dopo il celebre preludio in Re bemolle, nel n.16 – da sempre eseguito ad una velocità più seduta della media, ma con una chiarezza e una asciuttezza davvero rare – torna quel senso di smarrimento, come se sfuggisse un po’ dalle dita, e la chiarezza di quel flusso ininterrotto di sedicesimi va un po’ perdendosi.

La stessa cosa si è avvertita, in parte, nel n.17, scisso tra momenti di meraviglia sonora e altri di dispersione. Il n.18 non era affatto Molto allegro, ma più un recitativo, preso con tutta calma e con una gamma di suono che arriva forse al forte, ma mai al fortissimo. Coi preludi nn.19, 20 e 21 Pletnev sembra gradualmente riprendere confidenza con le intenzioni iniziali, ma sono il n.22 e il n.23 ad essere i più messi a fuoco – doveroso fare cenno alla chiarezza cristallina di quest’ultimo, che non poco lo avvicina a un preludio di Bach. Chiude il n.24, che risente nuovamente di quelle interferenze. La velocità più calma e l’ampiezza del canto non sono motivo di disturbo, quanto un poco senso di unità, e un senso di “stanchezza” nell’ultima pagina, tanto da giungere agli ultimi, perentori Re quasi accasciato sul pianoforte, dando le spalle al pubblico.

Se, in parte, ciò abbia forse costituito un calo di tensione e di coinvolgimento per chi ascolta, dall’altra parte ha restituito un enorme senso di umanità, anche di fragilità. Tante, troppe volte ascoltiamo questi meravigliosi cicli eseguiti con un fondo di dimostrazione. Come se l’interprete fosse chiamato a stupire, a spettacolarizzare una musica che, al contrario, è fatta di brevi momenti colmi di sincerità, di impeto ma anche di fragilità. Questo non vuole essere un’attenuante, perché in questo concerto alcuni cedimenti ci sono stati; piuttosto, semmai, vuole ricordare che anche chi si trova sui palchi più importanti del mondo resta sempre un essere umano. Un essere umano che, per quanto si possa proporre la quiete e la magia (e il più delle volte riuscirci dandoci un’impressione disarmante di semplicità), può avere squarci di fallibilità. Per qualcuno, anche ciò può essere materia per osservare, per ascoltare musica attraverso un essere umano.

Tali squarci, evidentemente, non hanno spento l’entusiasmo del pubblico, che ha richiamato Pletnev per tre volte sul palco ad ognuna delle due parti del concerto con enormi applausi ed elogi. I bis sono stati due: Arabesque, di Schumann, e lo Studio Op.72 n.6 di Moszkowski, studio di cui tutti, credo, conosciamo il livello dell’esecuzione."

A breve posterò anche qualche fotografia e link di un recente concerto che ha visto me e la mia collega e amica Federica Castro alle prese con un programma dedicato alla figura della donna nella musica.

A presto!
Andrea


martedì 3 ottobre 2023

Ritorna "L'Inserto Musicale" a Spazio Heart

Ciao a tutti!

Torno qui, dopo un'estate ricca di impegni e di decisioni da prendere, per comunicare che è ricominciato un nuovo ciclo di incontri de "L'Inserto Musicale" presso Associazione Heart, di Vimercate.

Altri 5 incontri di divulgazione musicale dal tono colloquiale senza però perdere la sostanza e il valore di ciò di cui si parla; collegamenti curiosi e aneddoti che aiutano ad avvicinare alle figure dei grandi compositori, troppo spesso considerati come esseri "senza tempo e senza vita vera". I compositori sono, e sono stati, esseri umani, e come tali hanno vissuto tutto quanto vive chiunque di noi: sogni, speranze, momenti bui, successi, difficoltà e incontri determinanti. Perché non parlarne? Spesso tutto questo aiuta a dare ancora più valore e significato alle loro opere.

Vi lascio una fotografia del primo incontro, lo scorso 25 Settembre.

Per chi si volesse iscrivere, c'è sempre posto, e si può seguire anche comodamente da casa tramite link privato. Basta contattare Heart ai suoi contatti, oppure al sito internet.


A presto!

Andrea

lunedì 10 luglio 2023

Duo Cordé: dal Museo Teatrale alla Scala per "Dischi e Tasti" al Primo premio assoluto al "Concorso Villa Oliva"

Ciao a tutti!

Questa estate si sta rivelando ricca di momenti di grande valore.

Il lavoro che da un anno e mezzo porto avanti con il mio amico e collega Giuliano Marco Mattioli sta portando dei frutti meravigliosi, che non fanno altro che caricare e motivare ancora di più i nostri propositi.

Recentemente abbiamo avuto il piacere di tornare al Castello Visconteo di Grazzano Visconti per un récital comprendente gran parte delle composizioni che registreremo nei prossimi mesi; pochi giorni dopo siamo stati ospiti della rassegna "Dischi e Tasti", ciclo di presentazioni-concerto organizzate da Luca Ciammarughi che si svolgono presso il Museo Teatrale alla Scala di Milano, dove abbiamo avuto lo spazio necessario a parlare di noi, del nostro lavoro come Duo Cordé, e di suonare, tra gli altri, anche una nostra trascrizione di Sposalizio, di Franz Liszt.

A questo link è possibile ascoltare lo streaming del pomeriggio al Museo Teatrale alla Scala.







Qualche giorno dopo abbiamo partecipato al "Concorso Villa Oliva", di Cassago Magnago (Varese). E' stata un'altra grandissima soddisfazione ottenere il Primo premio assoluto per la categoria di musica da camera. La giuria era presieduta dal grande pianista Daniel Rivera, il quale ha manifestato un grande entusiasmo noi nostri confronti, per il nostro modo di vivere e collaborare nella musica, e per le nostre esecuzioni.


Proprio ieri si è svolto il concerto di chiusura del concorso, che abbiamo chiuso proprio noi con l'esecuzione del Tema y variaciones Op.100 di Joaquin Turina.


Ho vari progetti per questo prossimo autunno, ai quali ho già cominciato a lavorare... vi racconterò!

Per ora... a prestissimo, e buona estate! 

Andrea

domenica 30 aprile 2023

Cobalto Ensemble a Torno per l'Associazione "De Benzi 17"

 Ciao a tutti!

Torno dopo qualche mese per raccontarvi del concerto recentemente tenuto con il soprano Cinzia Prampolini, con la quale formo il Cobalto Ensemble.

Io e Cinzia collaboriamo da un paio d'anni, e abbiamo trovato un interesse comune per la letteratura cameristica originale per voce e pianoforte - o anche con la partecipazione di altri strumenti - dell'800 e della prima metà del '900. Nel 2021 abbiamo infatti registrato un album, "Socchiusi petali", dedicato al repertorio in lingua italiana di quel periodo (autori come Respighi, Tosti, Cimara, Zandonai, Mascagni...).

A questo link potete ascoltare il nostro album.

Dicevo del nostro recente concerto, svoltosi il 28 Aprile scorso a Torno (sul Lago di Como), per l'Associazione di Via de Benzi 17. Per l'occasione, abbiamo proposto un programma diviso tra la lingua italiana e quella francese, incentrato su tre autori: Tosti, Respighi e Debussy.

Per quanto si tratti di tre autori non poco diversi, ci sono vari fili rossi che creano collegamenti fra loro. Uno di questi, in particolare, è quell'influenza di tipo simbolista di accostare i sentimenti e le sensazioni umane all'aspetto della natura, al suo mutare con le stagioni. Non a caso, abbiamo scelto di intitolare il nostro récital "Il lieve trascorrere", in onore a questo graduale mutamento della natura in relazione alle evoluzioni delle sensazioni umane.

Vi lascio qualche fotografia. Sul nostro canale YouTube potete ascoltare anche un paio di liriche eseguite durante il concerto.






Ci sentiamo presto, perché nei prossimi mesi ci saranno tante cose belle di cui vi parlerò!

Andrea

sabato 12 novembre 2022

La “poesia della gelosia”: Elisso Virsalazde

Ciao!

Rieccomi qui dopo qualche giorno. Ci sono state diverse cose in questo periodo che mi hanno assorbito completamente. Cose belle! Come la seconda e la terza serata del mio caro "Inserto Musicale", e il concerto della grande pianista Elisso Virsalazde, a Milano.

Per l'occasione ho steso una recensione per Le Salon Musical, che potete leggere sul sito della rivista, o sulla mia pagina Facebook personale, oppure qui sotto per esteso:

"La “poesia della gelosia”: Elisso Virsalazde

Un programma dalle molteplici letture quello proposto da Elisso Virsalazde nel suo recital, lo scorso lunedì, per Serate Musicali a Milano. La pianista incentra il tutto su tre soli autori: Beethoven (che inizia, “spezza” e chiude il concerto), Schumann e Haydn.

Un elogio alla forma breve, contornata da forme più estese? Sì. Un più o meno dichiarato richiamo alla forma delle variazioni su tema? Sì. Ma anche la curiosa scelta di incentrare le due parti del concerto su due “tonalità” cardine: Sol la prima, e Fa la seconda.

Dopo un inizio disinvolto e immediato – impressionante come Elisso non faccia quasi a tempo a sedersi sulla panchetta che subito attacca alla tastiera, con una sicurezza e una centratura di suono invidiabili – con la Sonata Op.49 n.1 in Sol minore di Beethoven, stupenda per musicalità fluida e chiarezza di tocco; il suo atteggiamento sembra farsi opposto nella successiva Sonata “alla tedesca”, Op.79, in Sol maggiore: la leggerezza di spirito (da non confondersi con superficialità di disposizione) viene spodestata da un approccio molto più serio, se non serioso – il che fa quasi strano visto lo spirito popolareggiante della sonata. Tutto è molto calibrato, ogni gesto non lascia spazio al caso, eppure appanna un po’ quella “libertà di essere” che si era vista immediatamente nell’Op.49 n.1. La conseguenza è – non che determini qualche pedanteria, o perdita di interesse – una lieve carenza di respiro, forse una scelta, ma in particolare nel secondo tempo, sorta di abbandonata e scanzonata Barcarolle, di non grande restituzione. Completamente opposto il finale, frizzante e multi-colorito, un Vivace pieno di entusiasmo che lascia del tutto convinti.

Seguono le celebri Kinderszenen Op.15 di Schumann, possibilmente il momento più alto della serata. Forse per la brevità dei singoli pezzi, forse per il loro carattere schietto, ma Elisso li elenca uno dopo l’altro quasi senza soluzione di continuità, ognuno ben centrato, in una visione molto chiara. Curiosa la scelta di dare al n.5, Glückes genug (Abbastanza felice), un’aura di felicità poetica, più che reale – tenendo conto del fatto che il precedente, Bittendes Kind ovvero “Fanciullo che prega”, termina in sospensione sulla settima di dominante di quel che segue – facendo della soddisfazione delle implorazioni del fanciullo un ritratto più delicato che espressamente gioioso. Lo stesso approccio un po’ controllato in Traumerei, bellissimo nel suono e nelle idee musicali, ma non “semplici e che si spiegano da sé” come disse a Clara Wieck lo stesso Schumann: il tuo tratto è curato, quasi come venato dall’intenzione di guidare chi ascolta verso la propria – misteriosa – visione. Molto belli gli ultimi due, Kind im Einschlummern (Bimbo che si addormenta) con la sua cantilena evidenziata nella mano sinistra, e Der Dichter spricht (Il Poeta parla), del quale il lato di meditazione metafisica e di “epilogo interiore” sono assolutamente centrati.

Chiude la prima parte il vivace Rondò a capriccio Op.129, alias “La collera per un soldo perduto” e anch’esso in Sol maggiore, vivace nel suo andamento ma non tanto nello spirito: l’abbondanza di controllo e il bisogno di chiarezza della pianista frenano un po’ il lato giocoso da morceau d’esprit, soprattutto nelle riprese variate del tema “à l’hongroise”, che appaiono meno imprevedibili e curiose.

La seconda parte si apre con le Variazioni in Fa minore di Haydn, spostando l’asse tonale del concerto un tono sotto. La Virsalazde qui non lascia spazio a sentimentalismi o a pieghe di troppo: va dritta alla meta, pur non dimenticando nulla. Tutto è molto chiaro, addirittura delineato, cristallino; forse un tentativo di richiamare un’esecuzione su altro strumento assai meno recente dei pianoforti odierni. Anche nella conclusione non cede che un minimo, quasi impercettibile, indebolimento di tempo, concludendo come se la musica uscisse dal pianoforte e se ne andasse via altrove, senza preavvisi.

Segue l’Andante “Favori” in Fa maggiore WoO57 di Beethoven (quello che inizialmente doveva occupare il posto del secondo movimento della celebre Waldstein), e qui l’aura, diciamo, austera della pianista – che, però, non manca di mostrare una vena di timidezza ogni volta che si alza dallo sgabello per gli applausi, portando un dito alle labbra – trova un posto molto confacente: il suono è bellissimo, il fraseggio torna un po’ alla naturalezza della prima sonata beethoveniana in programma.

Quindi segue Arabesque Op.18 di Schumann (in Do maggiore, dominante di Fa), che sfila via leggera come un velo nonostante le sezioni centrali più pastose, per arrivare alla Sonata Op.57, detta sovente “Appassionata”, di Beethoven. Questo il secondo picco del concerto, con un primo tempo che non lascia nulla al caso eppure trasmette comunque naturalezza; un Andante con moto (anche qui una forma di tema e variazioni) molto bello nonostante il poco respiro generale, e una chiusura con l’Allegro ma non troppo e il Presto, focosi senza mai cedere a frenesie eccessive, con quella chiarezza di dizione e di direzione che ha permeato tutto il concerto.

La distensione palpabile del bis, con la terza delle Deutsche Tänze D.820 di Schubert, chiude il concerto."

Vi lascio un paio di foto dal concerto, dopo il quale ho avuto occasione di conoscere Elisso, che si è dimostrata veramente gentile e cordiale!






A presto!

Andrea

giovedì 13 ottobre 2022

L'Inserto Musicale, incontri di divulgazione sulla musica

Ciao a tutti!

Ieri sera è cominciato "L'Inserto Musicale", un mio progetto di incontri di divulgazione sulla musica. Il progetto è stato accolto calorosamente dall'associazione culturale Spazio Heart di Vimercate, e dalla sua presidente Simona Bartolena.

Sono veramente contento che questa mia idea abbia potuto trovare uno sbocco al di là dei soli contesti dedicati agli "addetti" alla musica (come ad esempio è stato per Vinyl Vintage Venue, in collaborazione con il Conservatorio Puccini di Gallarate). Perché arrivare anche a chi non ha - o non ha avuto l'occasione di avere - una formazione musicale, è qualcosa per me di molto importante.

Credo che la mia fotografia qui sotto parli senza bisogno di aggiungere altro 😊

Vi terrò aggiornati sugli sviluppi.

A presto!

Andrea

mercoledì 14 settembre 2022

Casia Flos riscopre Domenico Obizzi

Ciao!

Dopo la pausa estiva rieccomi qui. Vorrei condividere un'intervista molto particolare che ho realizzato per Le Salon Musical. I protagonisti sono i Casia Flos, alias il duo formato da Stefano Somalvico e Cinzia Prampolini, i quali si sono uniti ad altri valenti musicisti per realizzare un progetto veramente interessante.

Il protagonista è un compositore italiano dell'area veneziana, vissuto in piena epoca di peste e forse da essa stessa portato via in giovanissima età: Domenico Obizzi.
Casia Flos, durante le prime fasi della pandemia da Covid, ha scelto i Madrigali et Arie per voce sola, e ne ha realizzato una incisione in digitale accompagnata da un volume contenente sia l'intero corpus dei testi che le partiture.


L'intervista è già uscita su Le Salon Musical, a questo link. Ma la condivido come sempre qui sotto, per esteso:

"Casia Flos è un ensemble vocale e strumentale specializzato nel repertorio compreso tra il medieovo e il Barocco. Fondato da Stefano Somalvico (dulciana) e Cinzia Prampolini (soprano), ha all’attivo diverse incisioni e concerti. A breve sarà presentato, in prima assoluta, il loro ultimo disco “Sospiro Amoroso”, dedicato al compositore veneziano Domenico Obizzi – autore vissuto in pieno periodo di peste, e ahimè mancato troppo presto.

Per l’occasione, ho realizzato un’intervista all’ensemble, che ha accettato con molto piacere di rispondere a qualche domanda.




Come nasce questo progetto su Obizzi?

C: Seduti al tavolo di un’osteria veronese nel primo periodo post pandemia, e facendo il cosiddetto “pensatoio creativo”, a me venne in mente un autore che avevo affrontato, tempo addietro, per un esame di retorica in Conservatorio: si trattava proprio di Domenico Obizzi. Ne parlai a Stefano, anche perché avevo notato che non c’era praticamente nulla di edito a riguardo. Così ci siamo messi a ricercarne le partiture. Saltò subito all’occhio la bellezza e la freschezza della sua musica.

Chi era Obizzi? A quale periodo appartiene?

S: Qui credo sia necessaria una piccola digressione per spiegare chi è Obizzi, e come contestualizzarlo: Il Barocco è una delle tante tensioni che vennero a svilupparsi nel corso del Seicento. Superato lo spazio razionale e il manierismo rinascimentale, sviluppatosi prima in ambiente artistico, poi letterario, e successivamente musicale, il Barocco ha in sé tendenze artistiche molto diverse tra loro, di paese in paese, che a volte si dubita di poterle ridurre a un unico fenomeno culturale. È in questo contesto che ha luogo la brevissima esistenza di Domenico Obizzi. Cosa sappiamo di questo musico? Che nacque presumibilmente nel 1611, e che nel 1627 fu assunto come “putto soprano” (quindi, come cantore) della Cappella Marciana, diretta da Monteverdi. Poco, pochissimo, praticamente null’altro… Non si hanno più notizie di lui dopo la peste veneziana del 1630, ragion per cui supponiamo che quell’epidemia possa aver mietuto anche lui, a soli 19 anni.

È piuttosto curioso che questo progetto coinvolga un giovanissimo compositore vissuto in un momento storico di grande epidemia. C’è qualche relazione con il momento allora presente, con il fatto che fossimo noi stessi immersi in un contesto affine?

C: Quello, a dire il vero, è stato il primo segno che ci ha convinti a continuare con il nostro progetto, e a portarlo fino in fondo. L’assonanza tra quel che stavamo vivendo con il Covid e la peste del 1630 era palese. Al contempo, vedere che la musica di Obizzi sia sopravvissuta e giunta fino a noi, che i Madrigali e le Arie a voce sola siano stati da lui composti a soli 15 anni, ci è sembrato un chiaro segno che qualcosa a suo riguardo era doveroso realizzarlo.

Parliamo ora un po’ più strettamente del contenuto dell’opera: i Madrigali e le Arie a voce sola. Che stile hanno? Quali sono le loro peculiarità?

S: Le composizioni del Libro Primo aderiscono chiaramente alle forme e alla retorica del periodo, ma sono permeate dalla quella freschezza e spontaneità tipiche dell’adolescenza. L’amore e la bellezza, cantate in modo “artificioso” e retorico; il piacere che viene dalla contemplazione della natura; e, allo stesso tempo, il senso di caducità del tutto, del passare inesorabile del tempo, del confronto tra la vita e la morte.
Rinnovando la poetica musicale mediante il ricorso al meraviglioso, allo “strano” e allo sbalorditivo (in poesia è detto Concettismo), Obizzi mostra, sovente, un panneggio ricco di grande sensualità e dolcezza, senza mai perdere in naturalezza.

I testi che Obizzi sceglie per i suoi madrigali e arie sono di Pietro Michele. Potete parlarci di questo autore?

C: I lavori poetici di Michiele trovano perfetta coesione con lo stile di Obizzi. Michele nacque nel 1603 da una nobile famiglia veneziana e fu membro dell’Accademia degli Incogniti. Genio alquanto precoce, mostrò il suo talento soprattutto in lavori di stampo strettamente marinista.

Il passo di decidere di incidere l’intera monografia dei Madrigali e Arie a voce sola è stato praticamente istantaneo. Contattata l’etichetta Torculus Records e il suo lungimirante editore Paolo Pozzi, è poi bastato reperire i musicisti per registrare i 32 tra madrigali e arie (in pieno lockdown). Artisti di fama internazionale, che furono entusiasti all’idea di ridare vita alla musica di Obizzi: Pietro Prosser (tiorba e chitarra spagnola), Marco Vincenzi (spinetta attiorbata), Maria Christina Cleary (arpa), e Rodney Prada (viola da gamba e lirone).

S: Questo progetto discografico, realizzato in digitale, diventa un supporto fisico grazie alla collana “Le Pagine di Euterpe” di KDope Editore. Abbiamo deciso di realizzare un libro contenente i testi di Pietro Michiele, gli spartiti dell’edizione del 1627 e il richiamo alla pubblicazione digitale tramite QR code. Una formula forse non nuova, ma senza dubbio la migliore per rendere giustizia al nostro intento di riportare alla luce uno spaccato di vita incredibile e una musica di altissimo livello.

So che la presentazione avverrà a breve e in un contesto molto particolare. Volete darci qualche dettaglio?

C: Certamente! Sarà il 26 di Settembre, alle ore 18, presso il Salone degli affreschi della Società Umanitaria (Via San Barnaba, Milano - ndr). L’ingresso è libero. Si tratta di una felice occasione, perché siamo stati invitati da Michele Marzulli, presidente della LIDU, la Lega Internazionale Diritti dell’Uomo, in occasione del centenario dell’associazione."


In attesa di tornare qui con tante novità... 

Andrew

venerdì 17 giugno 2022

Alberto Nones e il concetto di Fantasia chopiniano

Articolo scritto per "Le Salon Musical", leggibile online al seguente link.

Di seguito il testo integrale:

"Il recente disco del pianista Alberto Nones porta a riflettere nuovamente sul concetto di “Fantasia” in Chopin. E lo fa estraendo dal catalogo del compositore polacco quelle opere che iconicamente portano questo termine nel loro titolo: Fantasie-Impromptu Op.66, Fantasia Op.49 e Polonaise-Fantasie Op.61.

Per quanto Chopin rientri, quanto meno biograficamente, nell’epoca romantica – pur non essendo, effettivamente, un “modello romantico” per eccellenza, nonostante gli sguardi comuni e le parole più spesso utilizzate a suo riguardo lo inseriscano facilmente in una cornice tale – la questione della forma musicale non ha mai costituito un semplice caso, nella sua vita (basti riflettere sulle Ballate pianistiche, forme musicali che portano la sua firma sul “brevetto”). Anzi, Chopin sembra avesse una certa attenzione per quanto riguarda i nomi da attribuire alle sue opere – anche nella sua corrispondenza spesso accenna a composizioni che “non sa ancora come chiamare” – e questo ci fa supporre di buon grado che nemmeno negli Impromptus ci sarebbe quel lato puramente improvvisativo lasciato cristallizzare senza limature altre.

Il termine “fantasia” sembrerebbe posarsi, quindi, su di quelle composizioni che, diciamo per esclusione, non aderivano pienamente a una forma precisa. Eccezion va fatta per l’Op.66, Fantasie-Impromptu, per cui l’aggiunta di Fantasie venne dalla penna di Julien Fontana, editore di fiducia di Chopin: nel booklet del cd, il cui contenuto è scritto dallo stesso Nones, si accenna infatti a una sorta di “mossa di marketing” di Fontana, che riponeva, forse, in quel titolo la possibilità di destare fascino e curiosità negli uditori.

Ricordiamo che, per quanto riguarda gli Impromptus, l’Op.66 risulta il primo ad essere stato scritto (nel 1835) – a dirla tutta, composé pour la Baronne d’Este, addirittura, e quindi non “soltanto” dedicatole – e che la pubblicazione di quest’opera fu postuma (dunque l’autore non avrebbe, in ogni caso, potuto opporsi alla modifica apposta al titolo dall’editore).

Per quanto riguarda la Fantasia Op.49 torna subito alla mente Belotti, che, nel suo libro su Chopin, la definisce curiosamente “la quinta ballata”, sostenendo che la ragione plausibile per cui Chopin non le diede quel titolo è riposta nel fatto che il brano è in tempo binario, mentre per le ballate è ternario. Plausibile o meno che sembri a noi, certo è che l’Op.49 e la Polonaise-Fantasie Op.61 hanno in comune l’ampiezza del respiro – oltre che lo spessore dell’elaborazione tematica – di un “poema” pianistico (in maniera affine, per certi versi, alla Ballata Op.52) che, però, non si colloca in nessuna cornice preesistente. Nell’Op.61 è invece il ritmo di Polonaise, che echeggia qui e là, a costringere il termine Fantasie a dividere con lei 50 e 50 il titolo; dunque si può parlare di una “Fantasie à la Polonaise”, soprattutto se portiamo alla mente l’apertura del brano, con quelle lunghe meravigliose sospensioni fatte di risonanze, nelle quali la Polonaise resta “trasfigurata”, lasciata desiderare, e solamente con il primo tema ci convinciamo che si tratti di una danza.

Alberto Nones, pianista

Tornando al cd di Nones, è curioso notare come l’aspetto fantastico di queste tre composizioni – anche se tutto l’arco delle opere di Chopin è permeato di aspetti “fantastici”, in fondo – venga vissuto e condotto con sobrietà, con percepibile chiarezza di conduzione del discorso musicale; forse con poco “lasciarsi andare” – e quindi una minor sensazione dell’auto-generarsi della forma – ma con notevole cura del suono, del fraseggio, e con minuzioso rispetto della parte. Questo può dirci molto sul significato essenziale che il pianista attribuisca alla parola “fantasia”, svestita da prevedibili concessioni ai manierismi più disparati, e unicamente associata a quel che essa valesse, ipoteticamente ma plausibilmente, per il compositore."

A presto!

Andrew

martedì 10 maggio 2022

"Vinyl Vintage Venue"

Ciao a tutti!

Gli ultimi mesi sono stati piuttosto intensi e ricchi di cose nuove.
La prima di cui vorrei parlarvi è quella del titolo di questo post: Vinyl Vintage Venue.

Si tratta di un ciclo di serate appartenenti alla stagione di eventi del Conservatorio "G: Puccini" di Gallarate, volte a valorizzare l'ottimo archivio di vinili presente in istituto, attraverso dei momenti di divulgazione e condivisione.

Il Direttore, Carlo Balzaretti, mi ha affidato alcune di queste serate, e non sarei potuto essere più contento, essendo io appassionato a questo genere di eventi.
A suo tempo ho avuto la possibilità di immergermi totalmente nell'archivio, farmi "assalire" da un sacco di idee e infine scegliere di cosa avrei parlato e su quali dischi avrei incentrato le mie serate.

La prima serata, un po' "a richiesta" per chi mi conosce, è stata una serata sulla maturità chopiniana.
La seconda un intreccio di musica e letteratura, attraversando da Beethoven fino agli anni venti del '900.
La terza una serata sull'infanzia in musica, osservata dagli occhi di due "colleghi" come Schumann e Brahms, con il loro personalissimo punto di vista.









Non nascondo l'emozione provata, e spero ci siano in futuro altre occasioni di realizzare altre serate come queste.

Anche alcuni giornali online hanno parlato di questa manifestazione abbastanza rara. Ecco qualche link da leggere:

Qui invece ecco un video di Radiomontediviso con una breve intervista fatta a me e a Carlo Balzaretti in occasione della serata su Chopin:



A presto con un altro post!
Andrew

sabato 30 aprile 2022

Andrea Cantù racconta la prima edizione del suo Festival Pianistico Internazionale Lago di Lecco

Ciao!

Dopo tantissimo tempo torno qui per condividere con voi un articolo scritto in questi giorni per Le Salon Musical che mi sta abbastanza a cuore. Si tratta di un'intervista che ho fatto ad Andrea Cantù, pianista lecchese (come me) nonché direttore artistico del Festival Pianistico Internazionale Lago di Lecco, che è stato inaugurato proprio quest'anno.

L'articolo può essere letto a questo link, oppure qui di seguito:

"Andrea Cantù racconta la prima edizione del suo Festival Pianistico Internazionale Lago di Lecco

Il territorio lecchese, del quale anche il sottoscritto è natio, ha recentemente visto la nascita del “Festival Pianistico Internazionale Lago di Lecco”, ambizioso progetto musicale del giovane pianista Andrea Cantù, anch’esso lecchese. I quattro concerti si sono svolti presso la Casa dell’Economia, ed hanno ospitato musicisti di rilievo, quali Pascal Rogé (in duo a quattro mani con Barbara Binet), Yehuda Inbar, Sinziana Mircea; e lo stesso Andrea Cantù – che per l’occasione ha eseguito l’integrale dei 27 Studi di Chopin.

Ecco a voi un’intervista realizzata qualche giorno fa al Direttore Artistico:

Da poco si è conclusa la prima edizione del Festival Pianistico Internazionale da te organizzato. Come è nato questo progetto? L’hai realizzato da solo?

La mia idea era anzitutto quella di portare a Lecco una ventata di musica internazionale di alta qualità, ma anche di valorizzare la mia collezione di pianoforti storici e fortepiani, rendendoli protagonisti di eventi unici e indimenticabili. Il progetto è stato pensato e realizzato da me, ma non posso evitare di pensare e di ringraziare per il prezioso supporto organizzativo alcuni membri della mia associazione Cantici di Libertà, così come, per il supporto economico, diverse realtà pubbliche e private del territorio.

Per i concerti è stato adottato, come hai detto, un pianoforte “storico”. Di che modello si trattava?

È stato utilizzato un pianoforte grancoda Erard del 1867, appartenuto al compositore Vincenzo Tommasini, e prima ancora al padre Oreste, importante storico e diplomatico. Si tratta di uno strumento particolarissimo: oltre che essere, dal punto di vista estetico, una meravigliosa opera d’arte – con i suoi profili di ottone incastonati in un palissandro del Rio leggermente scurito, e la sua tastiera in avorio perfettamente conservata – è diretto testimone e rappresentante di quella che si può definire come la “golden age” di costruzione dei pianoforti ottocenteschi francesi, amati dai più grandi musicisti del tempo, quali Liszt, Moscheles, Thalberg.

Da dove è venuta l’idea di affidarsi a uno strumento di questo tipo?

L’idea di regalare al pubblico del Festival l’ascolto di musica di Schubert, Chopin, Ravel e molti altri, attraverso uno strumento del genere, è nata dalla volontà di ricreare alcune atmosfere magiche che questo speciale Erard, un po’ come una macchina del tempo, riesce naturalmente a evocare. Essendo, inoltre, lo strumento legato a Vincenzo Tommasini, l’intenzione era anche quella di ricordare il compositore romano e di farlo conoscere a un pubblico più ampio rispetto a quello ultra-specializzato dei musicofili. Personalmente, infatti, ho scelto di aprire il mio concerto proprio con un suo pezzo, una sua toccante berceuse dedicata ad Alfredo Casella, suo intimo amico.

Che accoglienza hai riscontrato da parte del pubblico, dall’ambiente lecchese in generale, e dagli artisti che hanno preso parte al Festival?

Riporto direttamente un messaggio, che secondo me condensa tutto, ricevuto da parte di uno spettatore alla fine del Festival: “Un ringraziamento di cuore per le belle giornate di musica, una boccata di ossigeno in un panorama di desolazione. Un abbraccio affettuoso, a presto”.

Amplierei il discorso dell’accoglienza del pubblico a un panorama che, a partire da quello lecchese, si vuole aprire, passo dopo passo, anche al mondo: già a questa prima edizione sono giunte persone da Svizzera, Toscana, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto. È un ottimo segno, che delinea l’orientamento da seguire per il futuro: l’internazionalizzazione. Per quanto riguarda, poi, la percezione del Festival da parte degli artisti coinvolti (provenienti da Francia, Israele, Italia e Romania) abbiamo ricevuto molti apprezzamenti, nonché entusiasmo e affetto.

Hai in mente altre idee per il futuro? Ci saranno altre edizioni?

Anche a seguito degli incoraggiamenti ricevuti, farò di tutto perché il Festival possa proseguire nei prossimi anni e divenire una realtà sempre più importante, coinvolgendo per ogni nuova edizione un diverso pianoforte storico."







A presto spero!

Andrew

martedì 13 luglio 2021

Ingrid Carbone e il “Sentimento della Natura”

Rieccomi,

la fretta non mi permette di fermarmi particolarmente, ma condivido con piacere la mia intervista alla pianista Ingrid Carbone in occasione del suo disco dedicato a Liszt, "Le sentiment de la nature".

L'intervista si può leggere a questo link sul sito di Le Salon Musical, oppure qui di seguito:

"Ingrid Carbone e il “Sentimento della Natura” 

Di recente incisione è “Le Sentiment de la Nature”, secondo disco interamente lisztiano della pianista Ingrid Carbone, che presenta una selezione di brani estratti dalle Harmonies poétiques et religieuses, dalle Années de Pèlerinage e dalle due Légendes.
Per l’occasione ho intervistato Ingrid, che molto volentieri ha risposto alle mie domande. 

Il suo disco si chiama “il sentimento della natura”. Leggendo le note di Chiara Bertoglio, si possono riassumere tre “ricorrenze” fondamentali, sia del disco che della figura di Liszt: l’elemento della natura come fattore ispiratore sublimato; la letteratura, quale fonte descrittiva e di contemplazione; la componente religiosa, che per il compositore sfocia in una sentita attrazione per il trascendente.

Quanto tutto ciò ha influenzato le scelte di repertorio per il suo disco? 

La risposta è indubbiamente positiva: si tratta del mio terzo CD, e del secondo dedicato a Liszt. Già nel primo CD l’attrazione verso queste tre “ricorrenze” si era palesata: Sonata Dante, Six Consolations, Légende n.2: St. François de Paule marchant sur les flots e Liebestraum n.3 lo testimoniano. Tuttavia, non posso nascondere che con il passare del tempo queste tre “ricorrenze” stanno sempre più diventando le “mie ricorrenze”. Non è un caso, infatti, che il mio secondo CD sia stato dedicato a Schubert con i quattro Impromptus Op.90 e i Six Moments Musicaux Op.94. Ma aggiungo che la mia vita quotidiana, e quindi anche al di là delle scelte di repertorio, è continuamente accompagnata (direi anzi, segnata) da un crescente amore verso la natura e verso gli animali, da ripetute battaglie in difesa dei deboli (e non solo degli animali). E poi c’è il mio continuo pormi domande, cercare risposte, trovarle e non trovarle, tutto stimolato dall’altra mia fedele compagna – la lettura. Si tratta di un mix che naturalmente mi spinge verso un certo repertorio. In questo mio ultimo CD sono presenti la Légende n. 1: St. François d'Assise (La prédication aux oiseaux), e Les jeux d’eaux à la Villa d’Este con il suo significato altamente religioso estrinsecato dalla magia delle acque (quelle terrene e quelle della vita eterna): si tratta di due brani in cui natura e religiosità si fondono mirabilmente. D’altra parte, Invocation (con la sua citazione di Lamartine) e Funérailles sono entrambi tratti dalle Harmonies poétiques et religieuses. Per finire con la Vallée d’Obermann, così legata a Byron, a Senancourt, alla bellezza dei paesaggi svizzeri. Insomma, cinque brani accuratamente scelti proprio in rispetto delle tre “ricorrenze”. 

Quanto, e in che modo, le informazioni note riguardo questi pezzi hanno contribuito alle sue scelte interpretative? 

Se come informazioni note intende le interpretazioni presenti in discografia, devo dire che io non le prendo mai come riferimento: ascolto tanta musica, e non solo per pianoforte, ma quando inizio a studiare un brano cerco la mia interpretazione, e evito di ascoltare altre registrazioni, se pur autorevoli. Se, invece, si riferisce a tutto ciò che “accompagna” l’elaborazione di ogni brano, e che comprende dunque lo studio della vita del compositore e il suo percorso creativo, il contesto storico, le diverse fonti di ispirazione (come letteratura, pittura, natura, religione), le testimonianze epistolari, allora tutto ciò non solo contribuisce, ma determina le mie scelte interpretative. Lo spartito diventa il punto di partenza di un lungo percorso che si arricchisce sempre di nuovi elementi e che porta alla mia personale interpretazione che mi auguro sempre sia vicina a quello che il compositore aveva inteso. 

Il virtuosismo di queste composizioni ha un ruolo differente rispetto a quello di altri brani di bravura; come ha approcciato alla componente virtuosistica? Che significato musicale ha avuto per lei? 

In Conservatorio ho avuto la fortuna di essere seguita da maestri di grande spessore, che mi hanno fornito le basi necessarie per affrontare qualsiasi difficoltà, nonché disciplina e metodo di studio. Non ne ero certo pienamente consapevole a quel tempo, ma col passare degli anni me ne convinco sempre di più. Dunque, le difficoltà tecniche non mi spaventano mai quando studio un nuovo brano, mentre l’interpretazione mi richiede sempre tempo e lavoro certosino. Ma il virtuosismo di Liszt non è mai fine a sé stesso, e questo è un altro aspetto affascinante della sua musica.  In realtà, io intendo il virtuosismo come un mezzo, e non come un fine, e in Liszt questo mio approccio si rivela essenziale. Ho inciso la Sonata Dante nel mio CD d’esordio: è considerata uno dei brani più difficili del repertorio pianistico, dopo la Fantasia Wanderer di Schubert (anch’essa nel mio repertorio). Anche lì la tecnica e il virtuosismo mi sono serviti per consentirmi di esprimere tutte quelle emozioni, quelle “immagini” così chiaramente indicate ed evocate da Liszt. I cinque brani presenti nell’ultimo mio CD richiedono ciascuno delle abilità tecniche avanzate e differenti: non solo le famose terzine di ottave dei Funérailles, non solo i rapidi arpeggi di Les jeux d’eaux à la Villa d’Este, non solo le scale di ottave della Vallée d’Obermann, tanto per citare tre brani noti per il loro virtuosismo, ma anche Invocation e la Légende dedicata a Francesco d’Assisi (brani meno famosi) necessitano di abilità tecniche notevoli. Invocation ha richiesto una grande attenzione per le sonorità maestose richieste: f, ff, e fff devono essere resi senza durezza, senza spigolosità, ma sempre pensando che si tratta di un omaggio alla magnificenza del creato e del creatore. Credo però che, tra tutti, la leggenda dedicata a San Francesco d’Assisi sia quella che ha richiesto maggiore lavoro, ed è stato un lavoro lungo ma entusiasmante alla ricerca del tocco giusto (e della tecnica giusta) per far “cantare” vari tipi di uccelli. Dunque, un grande virtuosismo al totale servizio della musica. 

Crede che la “musica a programma” – in questo caso, per pianoforte – possa in qualche modo “viziare” l’ascolto e la percezione di un brano? Oppure ritiene che resterebbe invariata a prescindere dalla consapevolezza o meno di tali informazioni? 

Più che “viziare” direi “indirizzare”. Premesso che l’ascolto della musica è sempre soggettivo, in quanto condizionato da molteplici fattori, resta il fatto che già solo il titolo (possibilmente autografo) indirizza l’ascoltatore verso la giusta sfera emozionale. E ciò può essere solo positivo. Ovviamente, una corretta interpretazione della “musica a programma” già dovrebbe (sperabilmente) trasmettere all’ascoltatore emozioni, sensazioni, evocazioni adeguate. Liszt, attraverso la sua musica, narra una storia, dipinge un quadro, recita una poesia: spiegare i brani ancor prima di eseguirli, accompagnando così l’ascoltatore dall’inizio alla fine dei ciascun brano, fornendo esempi, chiavi di lettura, elementi tecnici o melodici che individuano  univocamente quel brano e solo quello, non solo non limita e non “vizia” l’ascolto, ma lo arricchisce, aumentando la consapevolezza e, perché no, gratificando l’ascoltatore nel momento in cui riconosce i vari passaggi significativi descritti nella presentazione. È esattamente quello che cerco di fare attraverso le mie conversazioni-concerto: il riscontro del pubblico mi spinge ad andare sempre di più in questa direzione. 

Cos’è per lei il trascendente? Dove, a suo dire, lo si può riscontrare nei brani scelti? 

A una domanda così complessa rispondo con estrema sintesi: il trascendente è per me la mia musica. Sempre. E’ la mia maniera di entrare in un’altra dimensione, di essere me stessa, di sentirmi in sintonia e in armonia con il mondo, e allo stesso tempo essere di volta in volta ciò che eseguo: gli uccelli che cinguettano, San Francesco d’Assisi che predica e benedice, gli zampilli e le cascate dei Jeux d’eaux à la Villa d’Este, le campane che suonano a morto nei Funérailles, lo stupore di fronte alle bellezze della natura e alla straordinarietà del creato nella Vallée d’Obermann, la spiritualità e la religiosità di Invocation.

In conclusione, con la mia musica anelo e contemplo l’infinito."


A prestissimo!
Andrew