sabato 12 novembre 2022

La “poesia della gelosia”: Elisso Virsalazde

Ciao!

Rieccomi qui dopo qualche giorno. Ci sono state diverse cose in questo periodo che mi hanno assorbito completamente. Cose belle! Come la seconda e la terza serata del mio caro "Inserto Musicale", e il concerto della grande pianista Elisso Virsalazde, a Milano.

Per l'occasione ho steso una recensione per Le Salon Musical, che potete leggere sul sito della rivista, o sulla mia pagina Facebook personale, oppure qui sotto per esteso:

"La “poesia della gelosia”: Elisso Virsalazde

Un programma dalle molteplici letture quello proposto da Elisso Virsalazde nel suo recital, lo scorso lunedì, per Serate Musicali a Milano. La pianista incentra il tutto su tre soli autori: Beethoven (che inizia, “spezza” e chiude il concerto), Schumann e Haydn.

Un elogio alla forma breve, contornata da forme più estese? Sì. Un più o meno dichiarato richiamo alla forma delle variazioni su tema? Sì. Ma anche la curiosa scelta di incentrare le due parti del concerto su due “tonalità” cardine: Sol la prima, e Fa la seconda.

Dopo un inizio disinvolto e immediato – impressionante come Elisso non faccia quasi a tempo a sedersi sulla panchetta che subito attacca alla tastiera, con una sicurezza e una centratura di suono invidiabili – con la Sonata Op.49 n.1 in Sol minore di Beethoven, stupenda per musicalità fluida e chiarezza di tocco; il suo atteggiamento sembra farsi opposto nella successiva Sonata “alla tedesca”, Op.79, in Sol maggiore: la leggerezza di spirito (da non confondersi con superficialità di disposizione) viene spodestata da un approccio molto più serio, se non serioso – il che fa quasi strano visto lo spirito popolareggiante della sonata. Tutto è molto calibrato, ogni gesto non lascia spazio al caso, eppure appanna un po’ quella “libertà di essere” che si era vista immediatamente nell’Op.49 n.1. La conseguenza è – non che determini qualche pedanteria, o perdita di interesse – una lieve carenza di respiro, forse una scelta, ma in particolare nel secondo tempo, sorta di abbandonata e scanzonata Barcarolle, di non grande restituzione. Completamente opposto il finale, frizzante e multi-colorito, un Vivace pieno di entusiasmo che lascia del tutto convinti.

Seguono le celebri Kinderszenen Op.15 di Schumann, possibilmente il momento più alto della serata. Forse per la brevità dei singoli pezzi, forse per il loro carattere schietto, ma Elisso li elenca uno dopo l’altro quasi senza soluzione di continuità, ognuno ben centrato, in una visione molto chiara. Curiosa la scelta di dare al n.5, Glückes genug (Abbastanza felice), un’aura di felicità poetica, più che reale – tenendo conto del fatto che il precedente, Bittendes Kind ovvero “Fanciullo che prega”, termina in sospensione sulla settima di dominante di quel che segue – facendo della soddisfazione delle implorazioni del fanciullo un ritratto più delicato che espressamente gioioso. Lo stesso approccio un po’ controllato in Traumerei, bellissimo nel suono e nelle idee musicali, ma non “semplici e che si spiegano da sé” come disse a Clara Wieck lo stesso Schumann: il tuo tratto è curato, quasi come venato dall’intenzione di guidare chi ascolta verso la propria – misteriosa – visione. Molto belli gli ultimi due, Kind im Einschlummern (Bimbo che si addormenta) con la sua cantilena evidenziata nella mano sinistra, e Der Dichter spricht (Il Poeta parla), del quale il lato di meditazione metafisica e di “epilogo interiore” sono assolutamente centrati.

Chiude la prima parte il vivace Rondò a capriccio Op.129, alias “La collera per un soldo perduto” e anch’esso in Sol maggiore, vivace nel suo andamento ma non tanto nello spirito: l’abbondanza di controllo e il bisogno di chiarezza della pianista frenano un po’ il lato giocoso da morceau d’esprit, soprattutto nelle riprese variate del tema “à l’hongroise”, che appaiono meno imprevedibili e curiose.

La seconda parte si apre con le Variazioni in Fa minore di Haydn, spostando l’asse tonale del concerto un tono sotto. La Virsalazde qui non lascia spazio a sentimentalismi o a pieghe di troppo: va dritta alla meta, pur non dimenticando nulla. Tutto è molto chiaro, addirittura delineato, cristallino; forse un tentativo di richiamare un’esecuzione su altro strumento assai meno recente dei pianoforti odierni. Anche nella conclusione non cede che un minimo, quasi impercettibile, indebolimento di tempo, concludendo come se la musica uscisse dal pianoforte e se ne andasse via altrove, senza preavvisi.

Segue l’Andante “Favori” in Fa maggiore WoO57 di Beethoven (quello che inizialmente doveva occupare il posto del secondo movimento della celebre Waldstein), e qui l’aura, diciamo, austera della pianista – che, però, non manca di mostrare una vena di timidezza ogni volta che si alza dallo sgabello per gli applausi, portando un dito alle labbra – trova un posto molto confacente: il suono è bellissimo, il fraseggio torna un po’ alla naturalezza della prima sonata beethoveniana in programma.

Quindi segue Arabesque Op.18 di Schumann (in Do maggiore, dominante di Fa), che sfila via leggera come un velo nonostante le sezioni centrali più pastose, per arrivare alla Sonata Op.57, detta sovente “Appassionata”, di Beethoven. Questo il secondo picco del concerto, con un primo tempo che non lascia nulla al caso eppure trasmette comunque naturalezza; un Andante con moto (anche qui una forma di tema e variazioni) molto bello nonostante il poco respiro generale, e una chiusura con l’Allegro ma non troppo e il Presto, focosi senza mai cedere a frenesie eccessive, con quella chiarezza di dizione e di direzione che ha permeato tutto il concerto.

La distensione palpabile del bis, con la terza delle Deutsche Tänze D.820 di Schubert, chiude il concerto."

Vi lascio un paio di foto dal concerto, dopo il quale ho avuto occasione di conoscere Elisso, che si è dimostrata veramente gentile e cordiale!






A presto!

Andrea

giovedì 13 ottobre 2022

L'Inserto Musicale, incontri di divulgazione sulla musica

Ciao a tutti!

Ieri sera è cominciato "L'Inserto Musicale", un mio progetto di incontri di divulgazione sulla musica. Il progetto è stato accolto calorosamente dall'associazione culturale Spazio Heart di Vimercate, e dalla sua presidente Simona Bartolena.

Sono veramente contento che questa mia idea abbia potuto trovare uno sbocco al di là dei soli contesti dedicati agli "addetti" alla musica (come ad esempio è stato per Vinyl Vintage Venue, in collaborazione con il Conservatorio Puccini di Gallarate). Perché arrivare anche a chi non ha - o non ha avuto l'occasione di avere - una formazione musicale, è qualcosa per me di molto importante.

Credo che la mia fotografia qui sotto parli senza bisogno di aggiungere altro 😊

Vi terrò aggiornati sugli sviluppi.

A presto!

Andrea

mercoledì 14 settembre 2022

Casia Flos riscopre Domenico Obizzi

Ciao!

Dopo la pausa estiva rieccomi qui. Vorrei condividere un'intervista molto particolare che ho realizzato per Le Salon Musical. I protagonisti sono i Casia Flos, alias il duo formato da Stefano Somalvico e Cinzia Prampolini, i quali si sono uniti ad altri valenti musicisti per realizzare un progetto veramente interessante.

Il protagonista è un compositore italiano dell'area veneziana, vissuto in piena epoca di peste e forse da essa stessa portato via in giovanissima età: Domenico Obizzi.
Casia Flos, durante le prime fasi della pandemia da Covid, ha scelto i Madrigali et Arie per voce sola, e ne ha realizzato una incisione in digitale accompagnata da un volume contenente sia l'intero corpus dei testi che le partiture.


L'intervista è già uscita su Le Salon Musical, a questo link. Ma la condivido come sempre qui sotto, per esteso:

"Casia Flos è un ensemble vocale e strumentale specializzato nel repertorio compreso tra il medieovo e il Barocco. Fondato da Stefano Somalvico (dulciana) e Cinzia Prampolini (soprano), ha all’attivo diverse incisioni e concerti. A breve sarà presentato, in prima assoluta, il loro ultimo disco “Sospiro Amoroso”, dedicato al compositore veneziano Domenico Obizzi – autore vissuto in pieno periodo di peste, e ahimè mancato troppo presto.

Per l’occasione, ho realizzato un’intervista all’ensemble, che ha accettato con molto piacere di rispondere a qualche domanda.




Come nasce questo progetto su Obizzi?

C: Seduti al tavolo di un’osteria veronese nel primo periodo post pandemia, e facendo il cosiddetto “pensatoio creativo”, a me venne in mente un autore che avevo affrontato, tempo addietro, per un esame di retorica in Conservatorio: si trattava proprio di Domenico Obizzi. Ne parlai a Stefano, anche perché avevo notato che non c’era praticamente nulla di edito a riguardo. Così ci siamo messi a ricercarne le partiture. Saltò subito all’occhio la bellezza e la freschezza della sua musica.

Chi era Obizzi? A quale periodo appartiene?

S: Qui credo sia necessaria una piccola digressione per spiegare chi è Obizzi, e come contestualizzarlo: Il Barocco è una delle tante tensioni che vennero a svilupparsi nel corso del Seicento. Superato lo spazio razionale e il manierismo rinascimentale, sviluppatosi prima in ambiente artistico, poi letterario, e successivamente musicale, il Barocco ha in sé tendenze artistiche molto diverse tra loro, di paese in paese, che a volte si dubita di poterle ridurre a un unico fenomeno culturale. È in questo contesto che ha luogo la brevissima esistenza di Domenico Obizzi. Cosa sappiamo di questo musico? Che nacque presumibilmente nel 1611, e che nel 1627 fu assunto come “putto soprano” (quindi, come cantore) della Cappella Marciana, diretta da Monteverdi. Poco, pochissimo, praticamente null’altro… Non si hanno più notizie di lui dopo la peste veneziana del 1630, ragion per cui supponiamo che quell’epidemia possa aver mietuto anche lui, a soli 19 anni.

È piuttosto curioso che questo progetto coinvolga un giovanissimo compositore vissuto in un momento storico di grande epidemia. C’è qualche relazione con il momento allora presente, con il fatto che fossimo noi stessi immersi in un contesto affine?

C: Quello, a dire il vero, è stato il primo segno che ci ha convinti a continuare con il nostro progetto, e a portarlo fino in fondo. L’assonanza tra quel che stavamo vivendo con il Covid e la peste del 1630 era palese. Al contempo, vedere che la musica di Obizzi sia sopravvissuta e giunta fino a noi, che i Madrigali e le Arie a voce sola siano stati da lui composti a soli 15 anni, ci è sembrato un chiaro segno che qualcosa a suo riguardo era doveroso realizzarlo.

Parliamo ora un po’ più strettamente del contenuto dell’opera: i Madrigali e le Arie a voce sola. Che stile hanno? Quali sono le loro peculiarità?

S: Le composizioni del Libro Primo aderiscono chiaramente alle forme e alla retorica del periodo, ma sono permeate dalla quella freschezza e spontaneità tipiche dell’adolescenza. L’amore e la bellezza, cantate in modo “artificioso” e retorico; il piacere che viene dalla contemplazione della natura; e, allo stesso tempo, il senso di caducità del tutto, del passare inesorabile del tempo, del confronto tra la vita e la morte.
Rinnovando la poetica musicale mediante il ricorso al meraviglioso, allo “strano” e allo sbalorditivo (in poesia è detto Concettismo), Obizzi mostra, sovente, un panneggio ricco di grande sensualità e dolcezza, senza mai perdere in naturalezza.

I testi che Obizzi sceglie per i suoi madrigali e arie sono di Pietro Michele. Potete parlarci di questo autore?

C: I lavori poetici di Michiele trovano perfetta coesione con lo stile di Obizzi. Michele nacque nel 1603 da una nobile famiglia veneziana e fu membro dell’Accademia degli Incogniti. Genio alquanto precoce, mostrò il suo talento soprattutto in lavori di stampo strettamente marinista.

Il passo di decidere di incidere l’intera monografia dei Madrigali e Arie a voce sola è stato praticamente istantaneo. Contattata l’etichetta Torculus Records e il suo lungimirante editore Paolo Pozzi, è poi bastato reperire i musicisti per registrare i 32 tra madrigali e arie (in pieno lockdown). Artisti di fama internazionale, che furono entusiasti all’idea di ridare vita alla musica di Obizzi: Pietro Prosser (tiorba e chitarra spagnola), Marco Vincenzi (spinetta attiorbata), Maria Christina Cleary (arpa), e Rodney Prada (viola da gamba e lirone).

S: Questo progetto discografico, realizzato in digitale, diventa un supporto fisico grazie alla collana “Le Pagine di Euterpe” di KDope Editore. Abbiamo deciso di realizzare un libro contenente i testi di Pietro Michiele, gli spartiti dell’edizione del 1627 e il richiamo alla pubblicazione digitale tramite QR code. Una formula forse non nuova, ma senza dubbio la migliore per rendere giustizia al nostro intento di riportare alla luce uno spaccato di vita incredibile e una musica di altissimo livello.

So che la presentazione avverrà a breve e in un contesto molto particolare. Volete darci qualche dettaglio?

C: Certamente! Sarà il 26 di Settembre, alle ore 18, presso il Salone degli affreschi della Società Umanitaria (Via San Barnaba, Milano - ndr). L’ingresso è libero. Si tratta di una felice occasione, perché siamo stati invitati da Michele Marzulli, presidente della LIDU, la Lega Internazionale Diritti dell’Uomo, in occasione del centenario dell’associazione."


In attesa di tornare qui con tante novità... 

Andrew

venerdì 17 giugno 2022

Alberto Nones e il concetto di Fantasia chopiniano

Articolo scritto per "Le Salon Musical", leggibile online al seguente link.

Di seguito il testo integrale:

"Il recente disco del pianista Alberto Nones porta a riflettere nuovamente sul concetto di “Fantasia” in Chopin. E lo fa estraendo dal catalogo del compositore polacco quelle opere che iconicamente portano questo termine nel loro titolo: Fantasie-Impromptu Op.66, Fantasia Op.49 e Polonaise-Fantasie Op.61.

Per quanto Chopin rientri, quanto meno biograficamente, nell’epoca romantica – pur non essendo, effettivamente, un “modello romantico” per eccellenza, nonostante gli sguardi comuni e le parole più spesso utilizzate a suo riguardo lo inseriscano facilmente in una cornice tale – la questione della forma musicale non ha mai costituito un semplice caso, nella sua vita (basti riflettere sulle Ballate pianistiche, forme musicali che portano la sua firma sul “brevetto”). Anzi, Chopin sembra avesse una certa attenzione per quanto riguarda i nomi da attribuire alle sue opere – anche nella sua corrispondenza spesso accenna a composizioni che “non sa ancora come chiamare” – e questo ci fa supporre di buon grado che nemmeno negli Impromptus ci sarebbe quel lato puramente improvvisativo lasciato cristallizzare senza limature altre.

Il termine “fantasia” sembrerebbe posarsi, quindi, su di quelle composizioni che, diciamo per esclusione, non aderivano pienamente a una forma precisa. Eccezion va fatta per l’Op.66, Fantasie-Impromptu, per cui l’aggiunta di Fantasie venne dalla penna di Julien Fontana, editore di fiducia di Chopin: nel booklet del cd, il cui contenuto è scritto dallo stesso Nones, si accenna infatti a una sorta di “mossa di marketing” di Fontana, che riponeva, forse, in quel titolo la possibilità di destare fascino e curiosità negli uditori.

Ricordiamo che, per quanto riguarda gli Impromptus, l’Op.66 risulta il primo ad essere stato scritto (nel 1835) – a dirla tutta, composé pour la Baronne d’Este, addirittura, e quindi non “soltanto” dedicatole – e che la pubblicazione di quest’opera fu postuma (dunque l’autore non avrebbe, in ogni caso, potuto opporsi alla modifica apposta al titolo dall’editore).

Per quanto riguarda la Fantasia Op.49 torna subito alla mente Belotti, che, nel suo libro su Chopin, la definisce curiosamente “la quinta ballata”, sostenendo che la ragione plausibile per cui Chopin non le diede quel titolo è riposta nel fatto che il brano è in tempo binario, mentre per le ballate è ternario. Plausibile o meno che sembri a noi, certo è che l’Op.49 e la Polonaise-Fantasie Op.61 hanno in comune l’ampiezza del respiro – oltre che lo spessore dell’elaborazione tematica – di un “poema” pianistico (in maniera affine, per certi versi, alla Ballata Op.52) che, però, non si colloca in nessuna cornice preesistente. Nell’Op.61 è invece il ritmo di Polonaise, che echeggia qui e là, a costringere il termine Fantasie a dividere con lei 50 e 50 il titolo; dunque si può parlare di una “Fantasie à la Polonaise”, soprattutto se portiamo alla mente l’apertura del brano, con quelle lunghe meravigliose sospensioni fatte di risonanze, nelle quali la Polonaise resta “trasfigurata”, lasciata desiderare, e solamente con il primo tema ci convinciamo che si tratti di una danza.

Alberto Nones, pianista

Tornando al cd di Nones, è curioso notare come l’aspetto fantastico di queste tre composizioni – anche se tutto l’arco delle opere di Chopin è permeato di aspetti “fantastici”, in fondo – venga vissuto e condotto con sobrietà, con percepibile chiarezza di conduzione del discorso musicale; forse con poco “lasciarsi andare” – e quindi una minor sensazione dell’auto-generarsi della forma – ma con notevole cura del suono, del fraseggio, e con minuzioso rispetto della parte. Questo può dirci molto sul significato essenziale che il pianista attribuisca alla parola “fantasia”, svestita da prevedibili concessioni ai manierismi più disparati, e unicamente associata a quel che essa valesse, ipoteticamente ma plausibilmente, per il compositore."

A presto!

Andrew

martedì 10 maggio 2022

"Vinyl Vintage Venue"

Ciao a tutti!

Gli ultimi mesi sono stati piuttosto intensi e ricchi di cose nuove.
La prima di cui vorrei parlarvi è quella del titolo di questo post: Vinyl Vintage Venue.

Si tratta di un ciclo di serate appartenenti alla stagione di eventi del Conservatorio "G: Puccini" di Gallarate, volte a valorizzare l'ottimo archivio di vinili presente in istituto, attraverso dei momenti di divulgazione e condivisione.

Il Direttore, Carlo Balzaretti, mi ha affidato alcune di queste serate, e non sarei potuto essere più contento, essendo io appassionato a questo genere di eventi.
A suo tempo ho avuto la possibilità di immergermi totalmente nell'archivio, farmi "assalire" da un sacco di idee e infine scegliere di cosa avrei parlato e su quali dischi avrei incentrato le mie serate.

La prima serata, un po' "a richiesta" per chi mi conosce, è stata una serata sulla maturità chopiniana.
La seconda un intreccio di musica e letteratura, attraversando da Beethoven fino agli anni venti del '900.
La terza una serata sull'infanzia in musica, osservata dagli occhi di due "colleghi" come Schumann e Brahms, con il loro personalissimo punto di vista.









Non nascondo l'emozione provata, e spero ci siano in futuro altre occasioni di realizzare altre serate come queste.

Anche alcuni giornali online hanno parlato di questa manifestazione abbastanza rara. Ecco qualche link da leggere:

Qui invece ecco un video di Radiomontediviso con una breve intervista fatta a me e a Carlo Balzaretti in occasione della serata su Chopin:



A presto con un altro post!
Andrew

sabato 30 aprile 2022

Andrea Cantù racconta la prima edizione del suo Festival Pianistico Internazionale Lago di Lecco

Ciao!

Dopo tantissimo tempo torno qui per condividere con voi un articolo scritto in questi giorni per Le Salon Musical che mi sta abbastanza a cuore. Si tratta di un'intervista che ho fatto ad Andrea Cantù, pianista lecchese (come me) nonché direttore artistico del Festival Pianistico Internazionale Lago di Lecco, che è stato inaugurato proprio quest'anno.

L'articolo può essere letto a questo link, oppure qui di seguito:

"Andrea Cantù racconta la prima edizione del suo Festival Pianistico Internazionale Lago di Lecco

Il territorio lecchese, del quale anche il sottoscritto è natio, ha recentemente visto la nascita del “Festival Pianistico Internazionale Lago di Lecco”, ambizioso progetto musicale del giovane pianista Andrea Cantù, anch’esso lecchese. I quattro concerti si sono svolti presso la Casa dell’Economia, ed hanno ospitato musicisti di rilievo, quali Pascal Rogé (in duo a quattro mani con Barbara Binet), Yehuda Inbar, Sinziana Mircea; e lo stesso Andrea Cantù – che per l’occasione ha eseguito l’integrale dei 27 Studi di Chopin.

Ecco a voi un’intervista realizzata qualche giorno fa al Direttore Artistico:

Da poco si è conclusa la prima edizione del Festival Pianistico Internazionale da te organizzato. Come è nato questo progetto? L’hai realizzato da solo?

La mia idea era anzitutto quella di portare a Lecco una ventata di musica internazionale di alta qualità, ma anche di valorizzare la mia collezione di pianoforti storici e fortepiani, rendendoli protagonisti di eventi unici e indimenticabili. Il progetto è stato pensato e realizzato da me, ma non posso evitare di pensare e di ringraziare per il prezioso supporto organizzativo alcuni membri della mia associazione Cantici di Libertà, così come, per il supporto economico, diverse realtà pubbliche e private del territorio.

Per i concerti è stato adottato, come hai detto, un pianoforte “storico”. Di che modello si trattava?

È stato utilizzato un pianoforte grancoda Erard del 1867, appartenuto al compositore Vincenzo Tommasini, e prima ancora al padre Oreste, importante storico e diplomatico. Si tratta di uno strumento particolarissimo: oltre che essere, dal punto di vista estetico, una meravigliosa opera d’arte – con i suoi profili di ottone incastonati in un palissandro del Rio leggermente scurito, e la sua tastiera in avorio perfettamente conservata – è diretto testimone e rappresentante di quella che si può definire come la “golden age” di costruzione dei pianoforti ottocenteschi francesi, amati dai più grandi musicisti del tempo, quali Liszt, Moscheles, Thalberg.

Da dove è venuta l’idea di affidarsi a uno strumento di questo tipo?

L’idea di regalare al pubblico del Festival l’ascolto di musica di Schubert, Chopin, Ravel e molti altri, attraverso uno strumento del genere, è nata dalla volontà di ricreare alcune atmosfere magiche che questo speciale Erard, un po’ come una macchina del tempo, riesce naturalmente a evocare. Essendo, inoltre, lo strumento legato a Vincenzo Tommasini, l’intenzione era anche quella di ricordare il compositore romano e di farlo conoscere a un pubblico più ampio rispetto a quello ultra-specializzato dei musicofili. Personalmente, infatti, ho scelto di aprire il mio concerto proprio con un suo pezzo, una sua toccante berceuse dedicata ad Alfredo Casella, suo intimo amico.

Che accoglienza hai riscontrato da parte del pubblico, dall’ambiente lecchese in generale, e dagli artisti che hanno preso parte al Festival?

Riporto direttamente un messaggio, che secondo me condensa tutto, ricevuto da parte di uno spettatore alla fine del Festival: “Un ringraziamento di cuore per le belle giornate di musica, una boccata di ossigeno in un panorama di desolazione. Un abbraccio affettuoso, a presto”.

Amplierei il discorso dell’accoglienza del pubblico a un panorama che, a partire da quello lecchese, si vuole aprire, passo dopo passo, anche al mondo: già a questa prima edizione sono giunte persone da Svizzera, Toscana, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto. È un ottimo segno, che delinea l’orientamento da seguire per il futuro: l’internazionalizzazione. Per quanto riguarda, poi, la percezione del Festival da parte degli artisti coinvolti (provenienti da Francia, Israele, Italia e Romania) abbiamo ricevuto molti apprezzamenti, nonché entusiasmo e affetto.

Hai in mente altre idee per il futuro? Ci saranno altre edizioni?

Anche a seguito degli incoraggiamenti ricevuti, farò di tutto perché il Festival possa proseguire nei prossimi anni e divenire una realtà sempre più importante, coinvolgendo per ogni nuova edizione un diverso pianoforte storico."







A presto spero!

Andrew