domenica 30 settembre 2018

La mano infuocata di Passerini per il concerto d'anteprima delle Serate Musicali (Milano, Sala Verdi del Conservatorio, 24 Settembre)

Rieccomi qui dopo qualche giorno, per condividere un altro articolo scritto per Le Salon Musical!

Questa volta i protagonisti sono diversi, ma tutti in un solo concerto: l'Orchestra Antonio Vivaldi, il Coro del Teatro Municipale di Piacenza e i Cori di voci bianche della Civica Scuola di Musica di Sondrio e della Scuola Goitre di Colico. In programma il Boléro di Ravel e Carmina Burana di Carl Orff, sotto la bacchetta del M° Lorenzo Passerini.

Di seguito il testo completo del articolo:

"La mano infuocata di Passerini per il concerto d'anteprima delle Serate Musicali 
(Milano, Sala Verdi del Conservatorio, 24 Settembre)

Lunedì sera, 24 Settembre, presso la Sala Verdi del Conservatorio di Milano, ha avuto luogo il concerto-anteprima delle Serate Musicali di Milano, stagione di concerti che costelleranno i prossimi mesi fino a metà Giugno 2019.
Il programma dell'anteprima era molto interessante e massiccio: il famosissimo Boléro di Maurice Ravel e le altrettanto celebri cantiones profanae di Carmina Burana di Carl Orff.
Vorrei, anzitutto, sottolineare l'ottima preparazione dell'Orchestra Antonio Vivaldi e del Coro del Teatro Municipale di Piacenza; e, in particolare, dei due cori di voci bianche della Civica Scuola di Musica della provincia di Sondrio e della Scuola Goitre di Colico: è stato veramente emozionante constatare quale preparazione, quale professionalità avessero questi giovani ragazzi.
Vorrei fare, inoltre, un cenno all'energia trascinante e al gesto appassionato del direttore, il M° Lorenzo Passerini, il quale ha dato all'intero programma un'impronta raffinata ma straripante di vigore: certi fortissimo dell'intero organico riempivano la Sala e tenevano gli ascoltatori con gli occhi letteralmente sbarrati.
Il Boléro si è aperto cautamente, aprendosi lentamente come un fiore notturno. Passerini ha ben lasciato desiderare il culmine conclusivo, ed ha reso percepibile ogni ispessimento della scrittura orchestrale. Ricordiamo che quest'opera del compositore basco, scritta istigato dalla celebre ballerina russa Ida Rubinstein e da lui espressamente destinata al balletto, è nata un po' svogliatamente, appunto con l'idea di non proporla come musica fine a se stessa, credendola incapace di coinvolgere il pubblico senza i danzatori. Come si sbagliava! Tutti, oggi, possiamo renderci conto di quale eco essa abbia avuto e di quanto essa si associ quasi indissolubilmente al nome del compositore stesso.
Apparentemente quasi un mini-compendio di alta orchestrazione, Ravel sceglie un solo ed unico motivo, diviso in due parti – una dal carattere più dolce, l'altra più calda e sensuale – che, come venendo da lontano e con pochi strumenti, via via si avvicina fino a travolgere e divorare chi la ascolta. Come dicevo, in questo Passerini ha reso appieno la sensazione, giungendo alla fine con una vera e propria esplosione di colori, dimostrando il raffinatissimo gusto e genio orchestrale di Ravel.
Dopo una breve pausa, ecco cominciare la celeberrima e quasi brutale “O fortuna”, prima delle canzoni profane dei Carmina Burana di Orff. Nonostante la lunghezza di quest'opera imponente, il pubblico non cede e mantiene l'attenzione, si lascia assorbire dall'inquietudine di Fortuna Imperatrix Mundi, dalle visioni iraconde e d'osterie di In taberna e dalle dolci, a volte struggenti, immagini di Cour d'amours. Qualche piccolo cedimento del coro femminile non inficia la piena riuscita dell'esecuzione, mentre quello maschile non manca un colpo, interpretando magistralmente il sillabato serrato di In taberna quando sumus. I tre solisti declamano impeccabilmente: Anna Delfino (soprano) stupisce con i sovracuti di “Dulcissime! Ah! / Totam tibi subdo me!”, il controtenore Antonio Giovannini con un'ottima presenza scenica e la massima cura nell'articolazione verbale; Enrico Maria Marabelli ci regala una bella voce piena di baritono, una splendida “Dies, nox et omnia”, ed un breve sketch giocoso con il direttore d'orchestra.
Ecco ritornare sulla scena l'iconica “O fortuna”, che con l'esecuzione iniziale pare erigere due enormi colonne entro le quali si svolge l'intero possente racconto musicale di Orff. Il fragore orchestrale-corale raggiunge il vertice ed ecco che la musica si chiude, imperativamente.
La forte emozione che dilaga nel pubblico non lascia nemmeno un secondo di silenzio, e straripa in lunghissimi applausi che richiamano più volte sul palco il direttore d'orchestra, i tre solisti ed i maestri di coro.
Un'anteprima di stagione che è un vero trionfo."











A prestissimo!
Andrew

mercoledì 26 settembre 2018

"La lucida spontaneità di Irene Veneziano" (Missaglia, 22 Settembre)

Ciao a tutti!


Il mio più recente articolo per Le Salon Musical (che potete vedere sul sito QUI) riguarda una pianista che conosco da ormai un po' tempo e che apprezzo molto: Irene Veneziano.
Ho presenziato a un suo recente concerto al Monastero della Misericordia di Missaglia, nel quale ha suonato musiche di Chopin e Liszt.


Ripropongo il testo dell'articolo:

"La lucida spontaneità di Irene Veneziano

E' con non poco piacere che questa volta parlo di Irene Veneziano. Conosco quest'ottima pianista ormai da qualche anno – per essere precisi, dalla sua partecipazione alla Chopin Competition del 2010, quando si classificò tra i semifinalisti. In questi 8 anni circa ho avuto occasione di ascoltarla, seguirla, osservarla da tanti punti di vista, e in vesti differenti fra loro. Ho visto il suo stesso pianismo cambiare, consolidarsi e raffinarsi. Sono stato suo allievo in diverse masterclass, ed ho potuto sperimentare il suo approccio all'insegnamento, il suo desiderio di comunicare, mettendo a disposizione le sue conoscenze a tanti pianisti come me.
Il suo stesso amato Chopin ha cambiato un po' il volto, nel tempo. E questo è interessante, quasi divertente, se ci faccio caso. Non credo di aver mai udito esecuzioni “prestampate” dalle mani di Irene, interpretazioni che non subiscano – felicemente, direi! – l'influsso del tempo che passa e della maturità musicale che cresce. Questo mi è stato possibile notarlo, negli anni, ascoltandola eseguire più volte brani che porta in repertorio dacché la conosco.
Il concerto di Sabato 22 Settembre, presso quella bellissima cornice dal fascino quasi decadente che è il Monastero della Misericordia di Missaglia, più di altro ha riacceso questa consapevolezza: il programma bipartito fra Chopin e Liszt, ripercorrendo alcune fra le pagine più note dei compositori, è stata per me una chance di riascoltare Irene in un recital solistico, cosa che non mi accadeva da un po' di tempo.
Il primo brano, il celeberrimo Notturno Op.9 n.2 in Mi bemolle maggiore, ha risuonato delicatamente fra le alte arcate del Monastero. L'interpretazione era morbida, scorrevole ma molto cantabile, e non ha mancato di sottolineare eloquentemente i vari arabeschi e le minuscole varianti della melodia principale, per poi sperdersi in un quel brusìo di cristallo che è la coda. A seguire, altro brano tanto amato, la Ballata Op.23 in Sol minore. Da qui ho cominciato a percepire quella maturazione musicale di cui ho detto poco sopra. E' interessante notare come Irene abbia più volte eseguito certi brani senza mai “stancarli”, trovandoci sempre un pretesto per ricercare sfaccettature nuove, che fossero piccoli cambi di pedale, esaltazioni di polifonie interne o raddolcimenti di sonorità in precedenza sentite più epiche, come il bellissimo secondo tema, nella riproposizione centrale in accordi, in La maggiore.
Tanto tragica e perentoria si conclude la Ballata, tanto “sinistramente” si apre lo Scherzo Op.20 in Si minore, brano che non avevo mai ascoltato eseguire da lei (così come il precedente Notturno). Dopo i due accordi in fortissimo che suonano come caustiche annunciazioni, si apre lo scenario agitato e irrequieto dello Scherzo, fatto di rapidi slanci verso l'acuto ed indecisioni che portano la linea discorsiva ad infrangersi su accenti che ne invertono la rotta. Improvvise soste su ottave basse e cupi frammenti melodici continuamente – quasi ossessivamente – riproposti, il secondo tema che sembra nascere da un apparente rasserenato Re maggiore, ma che poi ripiomba nel primo tema, sempre più in fibrillazione, dopo una cadenza dagli afflati taglienti. Dopo la riproposta dell'intero episodio, ecco il cambio di scenario: una tenerissima melodia in Si maggiore, a quanto pare l'elaborazione di un dolce e nostalgico canto di Natale polacco. Sembra quasi un dondolo, una culla, questo morbido saltellare fra un'ottava e l'altra: la musica si crogiuola in se stessa, trova un po' di calore e fa sbocciare un tema dal tracciato più lineare e declamato, richiama il canto di natale... E' bene ricordare che Chopin stesso ci ha lasciato testimonianze sulla genesi di quest'opera nelle sue lettere. In una di esse, scritta a 20 anni nel Natale del 1830, egli racconta: «Dal momento che era la Vigilia di Natale [...] tutto solo, a passo lento, verso mezzanotte me ne sono andato alla Cattedrale di Santo Stefano. [...] Il silenzio era assoluto; talvolta solo il passo del sagrestano che accendeva le candele in fondo al tempio lo interrompeva. Dietro di me una tomba, sotto di me una tomba... mancava solo un sepolcro sopra di me. Dentro mi scaturì allora una musica tetra... e sentivo più che mai il mio assoluto abbandono». “Tetro”: quale termine migliore di questo per connotare lo Scherzo Op.20? Quale modo migliore per portare alla vista quel lato oscuro, tormentato del compositore, che asseriva di “fare il composto” nei salotti per poi “scagliare fulmini sul pianoforte” una volta rientrato a casa?
Se il primo dei quattro scherzi si presenta così inquietante e spettrale, non è da meno l'interrogativo inizio del secondo, celebre Scherzo Op.31, che chiude la prima parte del programma. Le sommesse ma mordenti terzine si alternano a incisi più appassionati, in registri opposti del pianoforte. Ho sentito tante volte eseguire questo pezzo da Irene, e anche qui trovo qualcosa di diverso, di ricercato ma anche di più libero. In particolare la sezione centrale, negli episodi più sonori, c'è una maggiore impronta poetica nonostante il ritmo sembri dire diversamente.
Dopo una breve pausa, Irene torna alla tastiera, aprendo la seconda parte con Sposalizio, poeticissimo brano lisztiano tratto dagli Années de Pelerinage. Il tocco morbido ed il legato non cedono di fronte alla scelta di un andamento decisamente più spedito di come lo abbia sentito in esecuzioni di altri pianisti. Ciononostante, è bello; specialmente la prima parte, delicatissima e dal suono quasi liquido, con una pedalizzazione tutt'altro che scontata.
Segue una delle parafrasi a mio avviso più riuscite fra tutte quelle scritte da Liszt, ovvero quella sul quartetto “Bella figlia dell'amore”, dall'opera Rigoletto di Giuseppe Verdi. I virtuosismi qui contenuti sono risolti in modo brillante, le ottave ribattute in modo rapido non sono affatto nervose, gli arabeschi che ornano il tema principale creano ondate che vanno e vengono sulla tastiera e scintillano discretamente come piccole perle toccate dalla luce delle vetrate.
Se si pensa che questo genere di composizioni, all'epoca, nascevano praticamente in pubblico, dalle richieste che quest'ultimo muoveva ai pianisti, si resta stupefatti delle abilità improvvisative – quasi da prestigiatore – di Liszt. E tutto ciò restando comunque molto musicale e ispirato: non c'è alcuna forzatura nei passaggi di bravura, non c'è traccia esibizionista.
Chiude il programma la focosa e brillante Rapsodia Spagnola. Irene non manca un colpo nemmeno qui, e conduce verso la meta in modo impeccabile. Bellissimi gli effetti della Jota Aragonesa, fra impeto di danza e rievocazioni nostalgiche, con mille e più varianti ritmiche e timbriche, prima di esplodere nelle energiche scariche di ottave alternate e in una coda pomposa che rievoca il primo, famoso, tema del brano, Folies d'Espagne."








A presto!
Andrew

venerdì 14 settembre 2018

“Un viaggio dal Mediterraneo all'Europa del Nord, ma a passo di danza”, il Quartetto Guadagnini a SpazioTeatro89 (MiTo Settembre Musica 2018)

Ciao a tutti!

Un nuovo mio articolo per Le Salon Musical, dopo uno splendido concerto del Quartetto Guadagnini per la stagione MiTo, a SpazioTeatro 89.
Eccone il testo:

Un viaggio dal Mediterraneo all'Europa del Nord, ma a passo di danza”,
il Quartetto Guadagnini a SpazioTeatro89 (MiTo Settembre Musica 2018)


Un programma molto interessante e dai molteplici fils rouges quello proposto ieri sera, 13 Settembre, a Milano dal Quartetto Guadagnini. Dal Kaiserquartett haydniano al focoso Quartetto Op.27 di Grieg e passando per Hugo Wolf, questa giovane formazione – nata nel 2012 e arrivata presto a tenere recitals in prestigiose sale e teatri, oltre che registrare le composizioni di autori contemporanei come l'italiana Silvia Colasanti – ha saputo rivelare tutti gli aspetti che animano le musiche messe in programma.
Sin dal primo attacco si è potuta notare la ricercatezza del fraseggio e delle belle sonorità, quel grazioso ben noto del grande Haydn; la spigliatezza ritmica, la cantabilità – distesa, espressiva, piena, ma senza sentimentalismo – del Poco adagio, cantabile, tema (con variazioni) noto ai più per aver preso il posto dell'inno nazionale tedesco. Vigoroso anche il Presto, che sembra sterzare improvvisamente la lietezza generale degli altri movimenti della composizione e illudere una chiusura d'opera dall'umore teso e combattuto, ma che, come una strizzata d'occhio, si risolve in un luminoso e riappacificante Do maggiore.
Quindi ecco la ben nota – e suonata – Italianische Serenade, primo tempo di un'ipotesi di suite del compositore. Wolf stesso infatti, nelle lettere, accenna ad un secondo movimento già completato, ma del quale non si conoscono che 45 misure, abbozzate. Si conosce, inoltre, anche qualche pagina di una Tarantella, che avrebbe dovuto occupare il movimento conclusivo, ma che Wolf non portò mai a termine. La Serenata Italiana ci trasporta in un universo danzato, vibrante ed eccitato, che non cede mai la tensione. Il Quartetto Guadagnini ha pienamente reso quest'emozione, con mille giochi di suoni, fraseggi imprevisti ed esaltazioni delle cangianti armonie, tanto da rendere questa composizione qualcosa che “sapesse di nuovo”.
Dopo una breve pausa, la seconda parte del concerto è dedicata al Secondo Quartetto per archi Op.27, in Sol minore, di Edvard Grieg. Quest'ampia pagina di musica – totalmente, ininterrottamente pervasa di passione e di slancio – ci sposta di colpo dai profumi mediterranei ai paesaggi norvegesi, eppure restando aggrappata al tacco dell'Europa grazie alla scelta di un frenetico e febbricitante Presto al Saltarello a chiudere l'opera. Il primo tempo, Un poco Andante – Allegro molto ed agitato, mostra senza remore né attese il suo carattere focoso – a tratti veemente, rude: la scrittura è quasi sempre densa, e la sonorità piena; l'insistenza delle appoggiature rende il discorso “affannato”, quasi ansimante, tormentato. La Romanze che si innesta fra il primo tempo e l'Intermezzo – il quale non manca affatto di input popolari, pur avendo un'impronta massiccia come il primo movimento – è inizialmente dolce e sinuosa, ma, al suo centro, serba un'ulteriore inquietudine, qualcosa che ci desta dalla pace iniziale (prima di ritornarci nuovamente, come ogni Romanza che si rispetti).
Non si può non fare accenno alla bravura del Quartetto nel rendere tutto questo aufschwung musicale, questa multiformità di sentimenti e di scritture musicali. In particolare il primo violino, Fabrizio Zoffoli, che ha dato prova di una padronanza strumentale tecnica ed espressiva veramente notevole.
Dopo tre scrosci di applausi il Guadagnini regala come bis un'imprevedibile e metamorfica Polka di Šostakovič (tratta da The Golden Age), dando una volta di più saggio dell'abilità esecutiva, della cura dell'insieme e della comunione di intenti, caratteristiche necessarie a fare ottime sintesi anche di brevi composizioni così “bizzarre” e piccanti.”


A presto!
Andrew

lunedì 3 settembre 2018

"Bergamo: il Quartetto Epos, da Haydn a Bloch con espressività e coesione"

Ciao a tutti!

Dopo un periodo abbastanza lungo di pausa dal mio amato blog - ahimé non per vacanza! - finalmente torno qui per condividere un secondo articolo, fresco-fresco!, scritto sempre per Le Salon Musical. Questa volta si tratta della recensione di un concerto davvero stupendo a cui sono stato Sabato scorso, 1 Settembre, ovvero quello del Quartetto Epos con il bravissimo Simone Gramaglia a sostituzione della viola.
QUI potete direttamente leggerlo dal sito de Le Salon, altrimenti questo di seguito è il testo:


Bergamo: il Quartetto Epos, da Haydn a Bloch con espressività e coesione

Se dovessi riassumere in poche parole indicative il concerto del Quartetto Epos di ieri sera, 1 Settembre, nella bella cornice della Chiesa di San Pancrazio in Bergamo Alta, direi: cura, espressione e coesione.

Questo quartetto d’archi nasce nel 2015 dall’unione di quattro giovani musicisti provenienti dal Conservatorio della Svizzera Italiana. Nel corso della loro formazione quartettistica – che tuttora continua, frequentando il “corso di alto perfezionamento per quartetto d’archi” del prestigioso Quartetto di Cremona – si sono avvalsi della guida di valenti musicisti come ad esempio Danilo Rossi, Kladi Sahatçi e Aldo Campagnari (alias il secondo violino del Quartetto Prometeo).

Il programma del concerto prevedeva musiche di Haydn, Beethoven e Bloch, ma, fino all’arrivo in loco, non ero a conoscenza dei brani effettivamente eseguiti.
All’entrata del quartetto, scopro che c’è qualcosa di diverso: la violista, Georgiana Bordeianu, è sostituita da Simone Gramaglia, il violista del Quartetto di Cremona citato poco sopra. E’ veramente una fortunata coincidenza, per me: ricordo, qualche anno fa, un suo concerto in duo con il bravissimo chitarrista Luigi Attademo, un concerto del quale serbo ancora meravigliosi ricordi, sia per la bellezza musicale direi totale, che per la bravura dello stesso Gramaglia, che mi aveva lasciato del tutto senza parole: un suono bellissimo, un atteggiamento di intenso calore e confidenza con il suo strumento, l’impressione che esso “parlasse” al posto delle sue labbra.

L’attacco è con il Quartetto in Si minore Op.33 n.1 di Haydn. A dire la verità non conoscevo bene questa composizione, ma sin dalle prime note mi sono reso conto dello studio profondo che si cela dietro l’esecuzione: i quattro musicisti sembrano disquisire fra di loro, a tratti divisi a paia, a tratti facendo saltellare fra loro frammenti contrappuntistici. Hanno tutti un’ottima preparazione musicale, il loro suono è sempre pulito ed intonato, chiaro ed espressivo. Da ciò si nota la cura nei confronti della partitura haydniana, l’esaltazione del valore di ogni singolo inciso, il fatto che si percepisca l’intera composizione come un’immagine dai contorni ben delineati, senza che questi siano didascalici o eccessivamente sottolineati. Nel Menuetto: Allegro di molto echeggiano ribattuti che saranno tanto cari a certi scherzi brahmsiani, come quello del Trio Op.8; mentre l’Allegro di apertura è disteso e intriso di chiaroscuri, di indeterminatezze fra tonalità maggiore e minore (tanto che, dalle primissime note, il Quartetto sembra essere in Re maggiore), di afflati, attese, e sospensioni su accordi che lasciano titubanze o qualche punto di domanda. Dopo un Andante espressivo e cantabile, il fragore del Presto conclusivo, nel tipico stile di tanti finali del compositore – presenti anche in varie sonate e divertimenti  per pianoforte – lascia senza fiato, chiudendo il quartetto senza fronzoli, quasi inaspettatamente.

Quindi è il turno del Quartetto in Fa maggiore Op.59 n.1 “Razumovsky” di Beethoven. Quartetto fra i suoi più noti ed eseguiti, scritto nel 1805, si contraddistingue per la lunghezza dell’Allegro iniziale che, illudendo con una partenza quasi “pastorale” (non mancano infatti possibili somiglianze con l’omonima sinfonia) affidata alla voce calda e profonda del violoncello prima, e più acuta del primo violino poi, conduce in differenti zone dell’immaginazione e dell’elaborazione tematica. Notevole è anche l’ampiezza dello sviluppo, che richiama sovente il primo tema – interamente o in parte –  “piegandolo” in svariati modi, o frammenti melodici dei ponti modulanti portandoli in progressione o in stile fugato.
Ma il più enigmatico movimento resta il secondo, un Allegretto vivace e sempre scherzando che, nonostante la dicitura scherzosa, ha quasi più il carattere di un “intermezzo” (un po’ come, per tornare al già citato Brahms, troveremo nel suo Quartetto con pianoforte Op.25): la propulsione e la varietà ritmica sono le fondamenta ed il motore ruggente di questo brano che, partendo ancora una volta dal violoncello solista con un ribattuto e, subito dopo, dal secondo violino come ad alludere un ironico assolo di tromba, è continuamente inatteso e imprevedibile, giocando a fare il semiserio, poi il simil-popolare, e poi ancora più lirico. Anche qui l’elaborazione tematica induce a credere che non sia uno scherzo come si è soliti concepirlo, ovvero con un trio a frattura di due aree espressive similari, ma ad un’altra forma sonata, con sviluppo e ripresa annessi.
L’Adagio molto e mesto, intriso di struggimento ed introspezione, curato meravigliosamente nelle sonorità e nei significati dal Quartetto Epos, si lega indissolubilmente al “tema russo” dell’Allegro finale tramite un trillo sospeso sulla dominante a conclusione di una lunga cadenza solistica del primo violino (eseguita molto bene da Livia Roccasalva). Ed una volta di più è il violoncello a irrompere sulla scena, con un tema dallo stesso carattere pastorale del primo tempo, ma qui il clima è indubbiamente meno disteso, rigoglia di maggiore brio ed esaltazione, quasi invitando ad una danza. Beethoven conia indissolubilmente la pagina con le sue iniziali riuscendo a sviluppare in stile imitativo anche i tasselli così “sintetici” di questo finale, e, dopo un breve attimo di pace apparente, esplode in una concisissima coda in Prestissimo, chiudendo il quartetto nel pieno enthousiasmos.
Emozionante è stato vedere come Simone Gramaglia, violista “sostituto” del quartetto – nonché loro docente, come detto poco sopra – osservasse costantemente gli altri tre musicisti e partecipasse all’esecuzione con una coesione e una comunione di intenti davvero notevole: non è stato raro vederlo eseguire la propria parte seguendo anche le restanti, partecipando negli attacchi, negli episodi omoritmici, nelle conduzioni dei discorsi musicali. Questo a riprova della validità di questo musicista, e indubbiamente anche dello stesso Quartetto di Cremona, di cui egli è componente.

L’ultima, stupenda parte del concerto è rivolta a un repertorio decisamente moderno, con Ernest Bloch e i suoi Paysages, tre piccoli pezzi per quartetto d’archi, tre piccole gemme musicali dai caratteri estremamente diversi. Frequenti armonici, utilizzo della sordina e della zona del ponticello: effetti e colori assai distanti dai quartetti di Haydn e Beethoven. Il primo, intitolato North, richiama alla mia memoria le atmosfere rarefatte, quasi nebbiose di Prelude à la nuit della Rhapsodie Espagnole di Ravel, con quei tetracordi discendenti ripetuti più volte in emiolia e quello stile “a macchie” nella distribuzione del materiale sonoro, quasi sempre costituito da pochissime note (talvolta cromatismi) o minimi frammenti melodici. Quindi il secondo, Alpestre, il cui titolo rende pienamente giustizia al carattere del pezzo, ben più “materiale” ed esplicito del primo, contraddistinto da un motivo espresso più volte dalla viola sola, quasi iconico, un versetto dolce e vibrante. E infine il terzo, Tongataboo, il più rude e focoso dei tre, contraddistinto da un ritmo incessante, quasi “rumoroso”, di ribattuti, pizzicati, quinte vuote e trilli nervosi, ai quali cerca di allinearsi una idea melodica di carattere patetico e melanconico, a metà fra il carattere di un tango un po’ bizzarro e un canto popolare di quelli tanto cari a Béla Bartòk.

Il quartetto riceve calorosi ripetuti applausi ed una standing ovation che istiga a regalare ben due bis: il secondo movimento del Quartetto Op.76 n.1 di Haydn e una ripetizione ancora più infuocata del finale dell’Op.33 n.1 eseguito inizialmente."


Spero di tornare presto e di non avere più "pause forzate" così lunghe!
Un saluto fresco di fine estate!

Andrew