L'anno scorso al 1 Gennaio mi chiesero: "Che anno sarà il 2012?". Io risposi, così, senza pensarci: "L'anno dei ritorni". E così fu, per diverse persone che conosco, più o meno vicine a me.
Quest'anno, alla medesima domanda, e col medesimo spirito dissi "L'anno della Bellezza, ma con la B".
Forse la Bellezza inizio a vederla anch'io. E non è stato soltanto il film "La Grande Bellezza", non è stato unicamente il contorno a quel film, o il suo significato nascosto.
Forse, pur in un momento di profondo "dolore globale", inizio a vedere la Bellezza nel suo senso più ampio - e forse anche più nobile - come un qualcosa di distante ma che si distingue.
Si è in costante cambiamento nella vita, ma non sempre questi cambiamenti trascinano violentemente con loro come mi sta accadendo: questo perché, spesso, il cambiamento lo si teme - o almeno io lo temo, perché sono di base un po' diffidente seppure accogliente - e non si può prevedere cosa si aspetta; perché a volte cambiare fa male, e altre significa prendere veramente in mano le proprie responsabilità, la propria persona. Guardarsi in faccia senza chiudere gli occhi, ma con la paura di scoprirsi diversi da ciò che si credeva, con il rischio di piacerci meno di quanto vorremmo, o addirittura di desiderare di non essere chi siamo.
Il più grande coraggio si ha verso se stessi, non verso il mondo. Accettando di non essere qualcosa "a parte", ma una sua parte stessa. Non si è tagliati fuori, si decide di escludersi. Non si è colpevoli, ma ci si dà la colpa, perché nessuno è colpevole finché non gli si attribuiscono colpe o responsabilità. Inclusi se stessi.
Dura è accettare l'abbandono, l'essere tutto e nulla nel lasso di tempo necessario appena per sciogliere i nodi della difesa e lasciarsi pervadere. Nodi poi difficilissimi da rifare. Dura è dosare l'essere ciò che si è, accettare di stare in silenzio ma stare accanto, non esprimere la propria per forza ma ascoltare; dura è ammettere a se stessi desideri, pensieri, paure, esigenze, sogni, debolezze e forze, negati per poter essere "perfetti", per essere pronti a tutto e a tutti, per tenere tutto sotto controllo. Per potersi "lamentare". Distrarsi in milioni di cose diverse e spesso vacue, per non fermarsi, per non pensare e ricordare.
Ma il controllo non può esserci. E' un'illusione, e quando ce ne si capacita, si perde l'appiglio, e da quella rupe dove quasi si scorgeva la cima, ci si sente come precipitare a vuoto: zero imbracature, zero corde di salvezza. E manca l'aria. E non si ha il tempo di svegliarsi che una mano al collo e l'altra allo sterno premono togliendoti il fiato e facendoti quasi scoppiare il cuore. E non c'è una mano da stringere per farsi forza, una presenza per rassicurarsi. Si fa i conti con il proprio io, che tanto abbiamo lasciato in un angolo, e con tutte le cose che non si possono "gestire".
Il soffocamento non è assenza di aria, ma bisogno e voglia di respirare. Solo che respirare equivale ad accettare che nuova aria entri dentro, aria che non si sa se sia buona o cattiva, sana o meno.
Il più grande coraggio è verso se stessi. Ammettere, vivere. Prendere a mani piene ciò che si desidera, senza la codardia della paura che istiga a non farlo ancora, sussurrando dietro il collo "No, non è ancora tempo...", per poi generare aborti di rimpianti, pentimenti, e autoinquisizioni che suonano paradossali e per di più non portano a nulla.
Il coraggio è lontano ancora, ma forse c'è. La Bellezza è lontana ancora, ma forse c'è.
A.