Ciao a tutti,
torno dopo qualche giorno di silenzio per condividere l'ultimo articolo, fresco di pubblicazione, che ho scritto per Le Salon Musical. Questa volta si tratta della recensione del concerto del pianista Francesco Libetta, che ha sorpreso il pubblico di SpazioTeatro89 con un programma interessante, inusuale e dedicato al repertorio ispirato da scene popolari.
Condivido qui il testo per intero:
"Parlare di
Francesco Libetta riferendo soltanto alla sua bravura, al suo
virtuosismo, all'eleganza del suo atteggiamento pianistico o sul
palco sarebbe mera ripetizione di aspetti già sottolineati più
volte, dei quali bene o male si è già a conoscenza da tempo. Il
Libetta di cui oggi vale la pena parlare è colui che svela e propone
repertori inusuali o semi-sconosciuti, autori considerati minori ma
che possono ancora stupire; il Libetta che sceglie programmi da
concerto pochi giorni prima della performance, che trova fili rossi
molto sottili, che può passare con nonchalance da protagonista
assoluto a condivisore del palco con altre formazioni.
Nel concerto
di Domenica 4 Novembre scorsa, presso SpazioTeatro89 a Milano, questi
sono gli aspetti che più hanno lasciato il segno e hanno sorpreso il
pubblico presente. “Grida, rap, folia (ovvero il viandante
virtuoso, dall'Arabia al Quai d'Orsay)”: un trittico che riduce la
multiforme scaletta di questo recital – anch'esso composto da
alcuni trittici – e che Libetta stesso spiega nelle sue
interessanti disquisizioni. La musica descrive il mondo senza
discriminazioni, soffermandosi sia su immagini più nobili sia su
altre più semplici, popolari, e traendo ispirazione dalle più
disparate situazioni. Torna sotto gli occhi la figura del viandante,
ma diverso da quello evocato da Jeffrey Swann un paio di settimane
prima: il viandante, questa volta, come l'uomo che vive nel volgo, al
quale si mischia e nel quale si confonde, del quale memorizza scene,
canti e volti portandoli con sé, annotati nei suoi album e nei suoi
diari.
Per la
partenza c'è Scott Joplin, e quel genere musicale che il nostro
pianista definisce simil-ironicamente “musica suonata
distrattamente per gente distratta”: brani come The
Entertainer o Maple
leaf rag non sono nati per le sale da
concerto, per avere tutti gli occhi e le orecchie addosso, ma pagine
di sottofondo ad eventi e situazioni altre. E, in questo, dunque,
l'esecutore non è il protagonista della scena, ma anzi, una
componente forse al limite dell'ignorabile. Ciononostante
l'esecuzione è elegante, disimpegnata, trasporta negli anni in cui
questa musica è stata scritta. Poi si fa un balzo più avanti nel
tempo, con un rap vero e proprio, il Rap del
Quai d'Orsay, pagina inaspettata del pianista
e compositore Andrea Padova (presente in sala, e che sale sul palco
qualche secondo per salutare e ringraziare Libetta per la scelta).
Qui la musica sembra volgersi alla sillabazione serrata tipica di
questo genere musicale, si priva di un vero spirito melodico per
concentrare sempre più intensità nell'aspetto ritmico e in quello
della massa sonora, che in alcuni frangenti si fa davvero fragorosa e
mordace.
Da Padova si
torna a Libetta, come esecutore di propri lavori: tre pezzi estratti
da Prosthesis (La
coppia di anziani,
Danza cubana e
Duo) e una Parafrasi
immaginaria sulla Saracena di Wagner. Su
quest'ultima vale la pena soffermarsi. Non esiste alcuna musica
scritta da Wagner, ne esiste soltanto il libretto. Libetta, rimasto
colpito dallo scenario dell'opera, ovvero Lucera, località a pochi
passi da Foggia (e noi sappiamo che egli è originario della Puglia),
traccia una visione ipotetica di temi ed elaborazioni dai tratti
sinfonici, per poi adottare una breve citazione wagneriana per
conclusione.
Ed ecco un
altro trittico, quello famosissimo italiano di Franz Liszt, noto come
Venezia e Napoli,
celeberrime composizioni nelle quali ritroviamo quel Libetta
cavalcatore di tastiere e dominatore indiscusso – e indiscutibile –
di repertori virtuosistici. Gli arabeschi della Gondoliera
si spandono gentilmente nella sala, bellissima è la coda di questa
barcarola, con quel fa diesis reso così importante, così
fondamentale. L'inquieta Canzone,
sorretta da perpetui tremoli, che segue è sempre di un gondoliere,
ed è estratta dall'Otello rossiniano, e sfocia senza soluzione di
continuità nella Tarantella
conclusiva, gran pezzo da concerto che Libetta esegue da sempre con
grande energia ed eleganza, chiudendo con una coda davvero poderosa.
Tornando ad
autori detti minori, il concerto segue con Pixis, pianista e
compositore a suo tempo piuttosto noto (tant'è che darà il suo
contributo nel Héxameron
dello stesso Liszt, e al quale Chopin dedicherà la sua Fantasia
su arie polacche Op.13). Ancora nel popolare,
ma questa volta nel Lazio, con Scena popolare
di Roma, un altro trittico che rievoca
pifferai e saltarelli, avvolti nella dolcezza di una Canzone
alla Madonna, motivo che sembra rendere
compatta la composizione.
Dall'Italia
finiamo in Oriente, con due brevi momenti di pianoforte a 4 mani:
allo sgabello di Libetta se ne aggiunge uno per Giulio Galimberti, ed
insieme eseguono un quieto e melanconico Canto
arabo di Godowsky e Laideronnette,
imperatrice delle pagode, uno dei brani che
compongono Ma Mère l'Oye
di Ravel.
Chiude il
concerto la scelta forse più azzardata, ma anche forse più aderente
all'idea del programma. Si torna in Italia, per ascoltare le Grida
dei venditori di Napoli di Federico Ricci:
dieci brevi pezzi per voci e pianoforte nei quali si alternano
pescivendoli e fruttaroli, panettieri e macellai, trasportando il
pubblico in un vero quadro napoletano popolare dell'800 (molto
divertente la figura del venditore di carne di maiale, interpretata
da un misterioso personaggio in costumi molto evocativi...).
Grandi
applausi per un musicista così eclettico e per un programma così
diversificato, efficamente bizzarro: Libetta torna sul palco e in
uno slancio affettuoso regala una bella esecuzione della sua
parafrasi sulla canzone La cura
di Franco Battiato, brano che mette in luce sia le sue doti di grande
pianista, che tratti estremamente sensibili della sua immaginazione.
Sperando di tornare a scrivere qui al più presto, lascio qualche fotografia scattata e mando un saluto!
Andrew
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