Eccomi qui di nuovo, per un articolo fresco di pubblicazione per Le Salon Musical. Questa volta i protagonisti erano i solisti de LaVerdi, capeggiati dal violista Domenico Nordio e il clarinettista Fausto Ghiazza, alle prese con due delle pagine più importanti del repertorio cameristico, quartettistico e quintettistico, del grande Mozart.
Di seguito il testo completo dell'articolo:
Domenica 11
Novembre scorso, presso la sede di Musica Arte Cultura di Milano
(MAC) Domenico Nordio, violinista residente de laVerdi, si è esibito
con i solisti de laVerdi in un programma completamente mozartiano. Le
pagine scelte per questo terzo concerto della stagione cameristica de
La Verdi erano il Quartetto per archi K.575
in Re maggiore –
primo fra i cosiddetti “Prussiani” – e il celebre, nonché
meraviglioso, Quintetto per clarinetto e archi
K.581 in La maggiore
detto “Stadler”, in onore del virtuoso
strumentista contemporaneo del compositore che contribuì a svelargli
le grandi possibilità di scrittura, d'estensione e d’espressione
del clarinetto.
Mozart
compose ben 26 quartetti per archi nella sua non certo lunga vita;
opere di perfetta fattura contenenti un po’ tutti gli aspetti dello
stile e dell’immaginario musicale del musicista. Scritti negli anni
1789-1790, i Prussiani,
eppure, sembrano evidenziare un contenuto dichiaratamente – e
volutamente – più espressivo, più lirico di altri, con una
particolare attenzione al ruolo violoncellistico. Mozart desiderava
infatti soddisfare i gusti e le speranze di Federico Guglielmo II Re
di Prussia, violoncellista dilettante e dedicatario dei quartetti
(che sono tre: K.575,
K.589 e K.590),
e con non poca fatica portò a termine il compito – per poi
pubblicarli con Artaria per una cifra irrisoria.
E proprio
con tale slancio si apre il primo movimento (Allegretto)
del Quartetto K.575:
un appassionato primo tema, di stampo lirico, contraddistinto da
rapide e marcate appoggiature, esposto dal primo violino, che
rimbalza subito dopo al violoncello, per poi frammentarsi e farsi
materiale d'elaborazione – sempre di stampo piuttosto cantabile –
dello sviluppo. Il clima generale appare tutto sommato generoso e
sereno, ma un orecchio più attento riscontra velate inquietudini,
titubanze che Mozart cela sapientemente qui e là (com’è suo
solito fare) nella scrittura, nelle armonie: la malinconia diviene
allora un sorriso un po’ “posato”, nella speranza – vana, a
quanto pare – che nessuno se ne accorga. L’Andante
è una sorta di morbida Romanza che alterna dolcezze e chiariscuri;
melodicamente ha uno stampo liederistico – possibile riminescenza
di Das Veilchen K.476,
per voce e pianoforte, dello stesso
Mozart. La sintonia in questa pagina è stata veramente notevole, e
ha tenuto il pubblico molto attento e partecipe. Il Minuetto
si contraddistingue per gli accenti inusuali (pronunciati
accuratamente) e la predilezione per il violoncello nella zona del
Trio, predilezione che
terrà – nonostante la pronuncia un po’ manchevole, unica piccola
nota di demerito all’intero concerto – anche per il tema del
Rondò conclusivo, nel
quale il refrain
subisce continue minute varianti ad ogni sua comparsa.
Per lo
Stadler della seconda
parte il quartetto di Domenico Nordio si avvale della partecipazione
del clarinettista Fausto Ghiazza, ottimo e vivace strumentista (primo
clarinetto dell'Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi) che si
cala in simpatiche nonché scherzosamente mimiche botte e risposte
con il primo, scambiando generosamente frasi e incisi, o
contrapponendosi in episodi di contrasto.
Mozart
scrisse questo Quintetto a Vienna mentre componeva i Quartetti
Prussiani, nel 1789, in un periodo di grave difficoltà economica e,
se non si può dire di poter percepire a tratti una dichiarata
tristezza o afflizione, è innegabile un’atmosfera più
contemplativa, a volte quasi abbandonata, che si mischia e alterna
alle melodie più frizzanti.
Nel primo
movimento questa dualità sembra alternarsi nell’organico fra il
quartetto e il solista, che subentra all’improvviso con episodi –
quasi dei motti o delle intromissioni – più ironici e sagaci. Il
discorso musicale, comunque, non cede mai, ma anzi si variega
continuamente, e sembra partorire continuamente idee nuove. Il
Larghetto è
probabilmente una delle pagine più belle mai scritte dal compositore
salisburghese, e una di quelle in cui il clarinetto svela tutte le
sue possibilità più fini e penetranti, a tratti addirittura
commoventi. L’esecuzione di Ghiazza è stata notevole, ogni suono
rivestiva un'importanza e aveva una sua singolare emissione, senza
che ciò rendesse la musica carente di spontaneità o trasporto. Le
varie frasi e semifrasi trovavano piena collocazione al di sopra del
sostegno degli archi, qui perfettamente bilanciati. Dopo un Minuetto
dai tratti un po' più popolari, dal Trio
unicamente quartettistico, il Tema e con
Variazioni finale è un vero successo: ancora
una volta Nordio e Ghiazza giocano e collaborano perfettamente; e su
un tappeto di secondo violino, viola e violoncello snodano una
variante dopo l’altra senza il minimo cedimento – bellissimi gli
arpeggi in staccato
del clarinetto nella Variazione IV! – mettendo in risalto ogni
inflessione e ogni giuoco
timbrico, portando il Quintetto
a una brillante conclusione.
Lascio qualche foto e un saluto a tutti!
A presto,
Andrew
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