venerdì 22 novembre 2019

Crema: voci umane e di dulciane nel sacro e profano dei tempi di Leonardo

Rieccomi!

Torno dopo qualche giorno (e un "re-styling" della pagina). Purtroppo non ho molto tempo, ma volevo condividere l'ultima recensione scritta per Le Salon Musical.
Sono stato a Crema, per la precisione nella Sala Pietro da Cemmo, all'interno del Museo Civico, posto bellissimo fatto di sale affrescate e cortili quadrati che si sono rivelati molto adatti all'occasione. Il concerto ha rievocato le musiche che si sarebbero potute ascoltare ai tempi di Leonardo, con una successione di canti e musiche, intonate dall'ottimo Coro Monteverdi di Crema e da un ensemble di dulciane chiamato Quoniam.

Non mi dilungo oltre. Potete leggere l'articolo direttamente dal sito proprio QUI, ma comunque io copioincollo qui di seguito:

"Crema: voci umane e di dulciane nel sacro e profano dei tempi di Leonardo

Occasione assai particolare quella di Sabato 16 Novembre presso la Sala Pietro da Cemmo del Museo Civico di Crema. Le voci del Coro Monteverdi di Crema e i dolci timbri di dulciane del consort italiano Quoniam hanno rievocato gli anni rinascimentali leonardeschi attraverso una selezione di composizioni sacre e profane lasciate da alcuni dei più celebri musicisti del tempo, come Josqui Des Prèz, Clément Janequin, Philippe Verdelot, Loyset Compère o i frottolisti italiani Marchetto Cara e Bartolomeo Tromboncino.

Il concerto è stato suddiviso sostanzialmente in tre parti, intercalate da diversi interventi di nota storica o aneddotica (per non dire anche filosofica).
Nella prima, protagonista unico e assoluto è stato il Coro Monteverdi, affontando pagine del grande Des Prèz, come In te Domine speravi, delicata e curiosa preghiera in lingua italiana del tempo, o Tu solus qui facis mirabilia, celebre testo in latino curioso per i ricorrenti rallentamenti alla fine di ogni terzina di versi, all'incontro con parole quali “Jesu Christe”, “Rex benigne”; o il più semplice “aeternum” di chiusura, per cui tale rallentamento funge quasi da vero e proprio madrigalismo, alludendo, appunto, all'infinità dell'eterno.
Dopo Des Prèz è stato il momento di Franchino Gaffurio, del quale è doveroso ricordare l'esecuzione di Adoramus te, Christe – indubbiamente uno dei momenti di maggiore impatto dell'intero concerto – dove il Coro si esprime in tutta la sua bravura tanto negli episodi solistici-melismatici che in quelli polifonici.

Nella seconda parte il palco è interamente affidato al consort di dulciane diverse Quoniam, composto da Paolo Tognon, Lucio Testi, Claudio Sartorato, Stefano Somalvico, sostenuti dagli interventi cembalistici e organistici di Marco Vincenzi.
Il repertorio questa volta è interamente profano, alternando ispirazioni italiane e francesi, come Signora un che v'adora di Marchetto Cara, o Chanter ne puis di Loyset Compère: una sequela di andamenti e scritture diversi che catapultano l'ascoltatore in un altro tempo, fra le corti e i costumi che oggi rivediamo fotografati soprattutto dall'arte pittorica dell'epoca. Una frase della commentatrice, non certo a caso, ripete più volte che “la pittura è una poesia che si vede ma non si ascolta”: il perfetto complementare del madrigale, che, per quanto non sia prettamente di questi decenni, va sviluppandosi attraverso essi per poi sbocciare definitivamente nel secolo seguente, divenendo una delle forme musicali più importanti.
Infatti, ogni composizione eseguita dai Quoniam porta un titolo tratto da testi coevi, ma la relativa immagine non è distesa su di una tela ma è fatta di suoni.

Chiude il concerto una terza parte in cui il Coro Monteverdi e i Quoniam uniscono le forze, sotto la direzione del Maestro Bruno Gini, nell'esecuzione di un'altra scelta di composizioni profane italiane e francesi: dal famoso Trionfo di Bacco al brioso Ce mois de mai di Janequin, passando poi per un'ultima volta dal grande Des Prèz, prima con il breve ma toccante Mille regrets, quindi con il popolarissimo El grillo, che conclude gioiosamente questa splendida occasione di ascolto.
Due bis contraccambiano i lunghi applausi del pubblico: Tourdion, testo profano, ironico e inusuale musicato da Pierre Attaignant, e una riesecuzione del Trionfo di Bacco."








Lascio come sempre qualche foto e un caloroso saluto a chiunque passi da qui!
A prestissimo,
Andrew

venerdì 1 novembre 2019

Mario Brunello in Sala Greppi: Bach, due violoncelli e “quattro soli”

Ciao a tutti!

Scrivo un po' di fretta oggi, purtroppo. Ma non voglio mancare di condividere con voi la mia recensione del concerto che il grandissimo Mario Brunello ha tenuto a Bergamo lo scorso 24 Ottobre. Un concerto davvero pazzesco, interamente dedicato a Bach.
L'articolo è possibile leggerlo QUI sul sito ufficiale de Le Salon Musical, ma lo condivido per intero come sempre di seguito:


"Mario Brunello in Sala Greppi: Bach, due violoncelli e “quattro soli”

Programma monografico quello eseguito dal violoncellista Mario Brunello lo scorso 24 Ottobre presso la Sala Greppi di Bergamo. La figura paterna del grande Johann Sebastian Bach è protagonista assoluta tramite la selezione di quattro composizioni fra le Suites, le Sonate e le Partite per violoncello solo.

Si tratta di “quattro soli su dodici”, dice lo stesso Brunello nella sua piacevole introduzione al concerto. Ma non di soli perché trattasi di opere scritte per lo stesso unico strumento: le dodici composizioni per violoncello del genio di Eisenach costituiscono una sorta di splendido e compiuto universo, una micro-macro galassia di una dozzina di pianeti unici, una costellazione equilibrata nella quale l'assoluta equità di valore e importanza fra un astro e l'altro ne fanno colonna indiscussa del repertorio violoncellistico e del lascito della storia della musica. I loro nomi non distinguono che le caratteristiche formali: le Suites o le Partite quali successioni di danze antecedute da un brano introduttivo di natura differente, sovente in stile più toccatistico o improvvisativo; le Sonate, diversamente, volgono lo guardo alla omonima forma musicale che stava gradualmente imponendosi nel mondo musicale dell'epoca, e che sarebbe divenuta protagonista assoluta del successivo classicismo.

Una luce parca e mielata avvolge Mario Brunello sul palco. Tutto è essenziale, quasi povero, o senza contorni definiti, eppure non si percepiscono mancanze.
L'intero concerto è un susseguirsi di luci ed ombre, di luminosità “positive”, brillanti, come per la Suite n.3 BWV1009 in Do maggiore, in cui la semplice scala della tonalità di impianto da enfatico gesto d'apertura si fa fondamentale cardine costruttivo; a luci più distanti, calori più scuri, contatti con regioni ripiegate, eccitazioni e tensioni più taglienti – oltre che a una scordatura dello strumento – come nella Suite n.5 BWV1011 in Do minore, detta peraltro discordable.
Caso vuole che quest'ultima si aggrappi, invece, per lo più ad un elemento scalare ascendente, dando agio all'immagine di un sorta di “punto zero” tra le due suites, un ideale piano cartesiano in cui entrambe si riflettono, si toccano, si esaltano e si compensano: la gioiosità più aperta con l'inquietudine più meditabonda, la tenerezza con la serietà, l'eloquenza con il mistero.
La libertà espressiva di Brunello è in sintonia perfetta con le partiture, si intreccia armoniosamente, non le disturba. Emerge davvero molto dell'umanità di questo straordinario esecutore, senza trasfigurare nulla, aggiungendo anzi una vibrazione toccante alla musica.

Per la seconda parte è il violoncello piccolo a fare da portavoce. In programma ci sono la Sonata n.2 BWV1003 in La minore e la Partita n.3 BWV1006 in Mi maggiore, descritte nei loro tratti salienti ancora una volta dalla voce calma e pacificante del nostro interprete, prima dell'esecuzione.
La Sonata BWV1003 costituisce un sole abbastanza distante, per concezione, dalle precedenti suites, e non manca di elementi davvero curiosi. Il Grave che apre la composizione, in stile tipicamente francese, riccamente ornamentato, è seguito da una lunga e massiccia Fuga, dal tema quasi danzato e con ricchi sviluppi cromatici. L'esecuzione di Mario Brunello qui non lascia spazio ad attese, tenendo vive l'attenzione e la febbrile tensione emotiva fino alla chiusa. Quindi ecco l'Andante, pagina dolcissima di grande interesse per la tecnica strumentale, che consente di realizzare un cantabile e una sorta di auto-accompagnamento contemporaneamente. Tale sezione è racchiusa come il cuore di un fiore – o forse sarebbe meglio dire il centro di un “sotto-sole, di un satellite – fra due altre assai simili (ABA) interamente da suonarsi in pizzicato, alludendo probabilmente alle fragili sonorità liutistiche.
Chiude la composizione un Allegro serrato di non semplice esecuzione, ma che Brunello supera senza alcun ostacolo e con un'intensità notevole.
La Partita BWV1006 differisce molto dalla precedente Sonata (anche se potrebbe essere ad essa assimilata, in quanto la sua tonalità di impianto costituisce la dominante di quest'ultima), aprendosi con un lungo Prélude in stile toccatistico, brillante e bravuristico a cui succede un altro elemento insolito, una Loure, una danza di origini francesi ispirata dal suono di un omonimo strumento musicale (simile a una musette de cour) dolce e in tempo ternario, in stile imitativo e di andamento quasi lento – nonostante la sua impopolarità, se ne può trovare un'altra dello stesso autore nella Suite Francese in Sol maggiore BWV816 per strumento a tastiera. Quindi una Gavotte en Rondeau, curiosa e sagace coniugazione di due forme musicali; due minuetti dai caratteri contrastanti, una Bourrée dalle marcate contrapposizioni dinamiche e la tipica Gigue, che chiude il concerto con la stessa lieta luminosità che lo aveva fatto cominciare.

Lunghi e sentiti gli applausi che richiamano Brunello più volte sul palco insieme ai suoi due “pargoli”, salutando il pubblico con una ripetizione dell'Andante della Sonata in La minore, ancora più calda e vibrante della prima volta."



A presto, spero con importanti novità!
Andrew