Fra i libri che acciuffai al mercatino di Imbersago lo scorso Ottobre, c'era Peter Camenzind, di Hermann Hesse. Ammetto che, fino a quel giorno, non sapevo nemmeno che questo romanzo esistesse; e ammetto anche di averlo acquistato perché si trovava fra le offerte a 1/2 euro, e di essere rimasto più attratto dalla breve trama sul retro e dalla copertina che da altro. Infatti, una volta portato a casa, l'ho lasciato a sonnecchiare un po' -feci in tempo a concludere le Confessioni di un oppiomane di De Quincey, iniziare La Metamorfosi di Kafka e Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij, i quali tuttora sono lì mezzi addormentati sul comodino- prima di cominciare, con poca convinzione la lettura.
Come mi sbagliavo! Sin dalle prime venti pagine, i tratti burberi e scontrosi, ma pieni di sensibilità e dolcezza, di questo ragazzo montano mi hanno rapito. Sembrava quasi di poterlo vedere, come se fosse vicino o aleggiasse intorno. Sono rimasto coinvolto nei suoi tormenti di adolescente con una certa vaga melanconia, o forse empatia; ho partecipato, inoltre, alle sue avventure: spesso mi veniva addirittura da incitarlo o consigliarlo... insomma, mi sono lasciato prendere piacevolmente da questo breve romanzo (tant'è che l'ho finito in tre settimane scarse, leggendolo prima di dormire) così fresco, scorrevole e mai pedante. A tratti mi sono ritrovato simile in sue esperienze, oppure ad aver vissuto esattamente come Peter talune circostanze, oppure ancora a rivedere alcune mie avventure o momenti passati con gli spunti che traevo dai suoi frequenti colloqui con se stesso.
Ho amato, e letto più volte la poetica di Hermann Hesse. Pur non conoscendo affatto il tedesco, nelle traduzioni trovavo metafore, similitudini, visioni di grande effetto. Trasudava passionalità, fervore, desiderio. Meno sfrenato di De Quincey, meno misurato di Mann, meno "flautato e pastello" di Proust, eppure tanto vissuto, e tanto capace di trasferire nel lettore i tumulti, le sensazioni, a tratti le ipnosi.
Non voglio stilare una pseudo-recensione del libro, quanto, piuttosto, lasciare qualche spizzico e boccone sui momenti più belli dello stesso.
Prima fra tutti, la descrizione dell'immagine del padre, uomo beone e violento, praticamente anaffettivo verso il figlio: lo stesso Peter non si risparmia quando ammettere di aver preso parecchie botte durante la giovinezza, ma non ne ha mai capito né saputo le ragioni. Quindi la figura della madre, donna apparentemente fredda e molto "pragmatica", e la precoce perdita della stessa, vissuta dal protagonista senza previsioni né vere disperazioni (forse, però, con un ingoio enorme, e un amaro di disarmo ed impotenza) una mattina, mentre il padre era nello stesso letto, al fianco di lei, addormentato, senza accorgersi dell'agonia della consorte. Le parole con cui Hesse descrive l'agonia sobria ma evidente della madre, e il progressivo abbandono della vita sono molto toccanti.
Subito dopo, la figura dell'amico Richard: momento alto del romanzo, in cui si incontrano gli ambienti "alti e bassi": la mansarda polverosa ed essenziale di Peter e l'appartamento meraviglioso dell'amico pianista; il carattere grezzo, cupo, un po' misantropo ma poetico dell'uno e la giocosa innocenza e la farfalloneria dell'altro, che non manca di stimolarlo e di invaderlo dolcemente nella sua insita ritrosia; il viaggio insieme in Italia, prima della loro separazione, a conclusione degli anni di studi -sempre costellati dalla fame di lettura e dal lavoro di recensore e articolista per qualche giornale locale- ed il passaggio nelle zone Umbre.
Gli amori, non da meno, costituiscono un capitolo importante. Richard stesso (e non solo) sembra essere parte di essi, pur non essendoci mai un'effettiva relazione amorosa, quanto semmai un'amicizia profonda, intima e calorosa.
Le donne amate da Peter Camenzind, senza mai avere da esse corresponsione, sono tre: una ragazza, di nome Rose, amore giovanile vissuto segretamente dal protagonista ancora fra le pareti delle sue vallate natie; una pittrice, Erminia, la quale gli confesserà di essere innamorata di un uomo che non la considera proprio in un incontro romantico, sul lago, nel quale egli si era convinto a dichiararle il suo amore; l'ultima, Elisabeth, una bella donna di rango medio-alto, frequentatrice di salotti letterari ed artistici, con la quale avrà una breve relazione, interrotta da lui prima che questa prenda una piega troppo seria ed "impegnata": infatti Elisabeth, successivamente, sceglierà di sposarsi con un altro uomo, e Peter le resterà sempre fedele amico, pur nutrendo ancora un forte innamoramento.
Infine, la figura di Boppi, che diviene centrale, ed ultima, profonda tematica del romanzo, prima della conclusione. Uomo storpio dalla nascita, fratello della moglie di un falegname col quale Peter stringe un'ottima amicizia, inizialmente suscita agli occhi di quest'ultimo una sorta di impressione, per poi trasformarsi in un rapporto tanto fraterno da ricordare quella con Richard, ma vissuto in età adulta. Tanto che Peter deciderà, di fronte alle ire e ai fastidi dell'amico falegname che non vuole mantenere Boppi in casa, di assumere le cure e la responsabilità di quest'ultimo, portandolo a vivere con sé e restandogli a fianco fino agli ultimi attimi di vita.
Insomma, guardando il libro da una certa "distanza", la figura di Peter (traslazione dello stesso Hesse) sembra essere quella di un'anima costretta, per una sorta di destino, ad assistere al contatto con l'amore degli altri quanto con la perdita di essi o dello stesso amore. Ciclicamente, egli si trova in alto alle onde, sereno e spensierato, appassionato e poeta senza reale contatto con il terreno, e subito dopo piombato nel più profondo crepaccio dell'anima, tortuoso, sanguinante e dolente. Le donne amate, Richard, la madre, Boppi sono persone cardine, che riportano il protagonista alla "vecchia crepa" del bisogno di essere amato (visto che, dato il distacco insito nel carattere materno, e la violenza inspiegabile di quello paterno, egli non conosce bene la sensazione di essere amato) e delle cose semplici ma fondamentali della vita. L'amore altrui ferma -o quanto meno "rilassa"- la sua sete di conoscenza, di andare sempre a fondo e di conoscere il mondo, di percorrere a piedi infinite distanze e di sciogliere l'anima nell'ebbrezza data dal vino, abitudine che Peter eredita dritta dritta dal padre.
E tutto ciò attira il lettore, lo inchioda alle pagine, creando empatia verso il protagonista, rievocando giovinezze, adolescenze, fulgori e pathos, amori non corrisposti... esperienze nelle quali, forse, a ben guardare, possiamo somigliarci proprio in quanto umani.
La conclusione è una sorta di ritorno all'ovile, dopo aver sondato terre altre, aver incontrato genti diverse, lasciato stancare l'anima su strade infinite e multiformi. L'occhio di un ragazzino cresciuto e fattosi uomo, con un mutato senso dell'amore e della vita stessa, nonché un nuovo sguardo sulle proprie origini, che, però, lascia così, un po' incompleti: come se questa sorta di diario di vita di Peter Camenzind non trovi ancora pace né fine, come se il suo poema tanto progettato ma mai scritto lo si aspettasse ancora; poiché alcune aspirazioni e sogni non hanno ancora trovato realtà o fine, e restituiscono l'idea di un proseguimento non scritto, del quale siamo tuttora in attesa.
Andrew
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