Ciao!
Che bello poter tornare ad ascoltare un concerto in presenza dopo così tanto tempo! In particolare, se un concerto di un pianista della caratura di Mikhail Pletnev, e totalmente dedicato a Fryderyk Chopin, compositore in assoluto tra i miei preferiti.
Lunedì 7 Giugno sera, il récital per Serate Musicali Milano è partito da una pagina ancora abbastanza "understimated" come l'Impromptu Op.51 per attraversare, inanellate come un'unica opus di miniature, 13 Mazurke; quindi la mirabile e matura Sonata op.58.
Per Le Salon Musical ho scritto la recensione che trovate a questo link e riportata per esteso qui sotto:
"Andare
ad ascoltare Mikhail Pletnev significa non solo uscirne estasiati o sconvolti,
ma soprattutto tornare a casa, ogni volta, con la consapevolezza di aver
scoperto qualcosa di nuovo da ciò che nuovo non è più. Pletnev è il maestro
dell’orchestrazione al pianoforte e il mago capace di sollevare veli
inimmaginati anche su quelle composizioni da cui non ci si aspetterebbe si
possa scoprire ancora dell’altro.
Il
portamento elegante e calmo con cui fa la sua entrata sul palco e raccoglie i
saluti del pubblico contrasta nettamente con l’immediatezza e la sicurezza con
le quali attacca il primo brano di questo récital interamente chopiniano, l’Impromptu Op.51, in Sol bemolle
maggiore, il terzo scritto dal compositore polacco.
Il
controllo sovrumano del tocco e del timbro è evidente sin dalle prime due
misure, a mano destra sola, che aprono il pezzo e portano al primo tema: il
suono denso e plastico delle prime terzine sembra quasi svanire, perdersi sulla
superficie dei tasti, e invece si allaccia come un filo esile, ma visibile,
alla melodia protagonista. La libertà agogica con cui Pletnev approccia all’Impromptu nella sua interezza – l’enfatizzazione
dei silenzi che rompono i lunghi fraseggi, le sospensioni nei punti che
dividono le varie sezioni o, al contrario, il fluire indisturbato fra un tema e
l’altro – rendono piena giustizia al carattere (teoricamente) improvvisativo
della composizione, dando a noi stessi spettatori quasi la sensazione che tutto
questo non sia preparato.
Assaporata
l’ebbrezza sonora dell’Op.51 si passa
ad una libera selezione di ben tredici Mazurke – eseguite quasi senza
interruzione – ognuna debitamente esaltata nei suoi elementi costituivi ed
espressivi. La scelta attraversa l’intero proseguo cronologico (con qualche
salto indietro ogni tanto), partendo dall’Op.6,
che spicca per l’interesse e la freschezza talune scelte musicali: la n.1, in
Fa diesis minore, ha un piglio deciso, e l’episodio in scherzando grazie ad una generosa pedalizzazione e alla
sottolineatura dei gradi fondamentali si trasforma in qualcosa di fascinoso e
sospeso; la n.4 riprende questo approccio, rendendola – per richiamare un
celebre titolo debussyiano – una mazurka engloutie, in cui le melodie
repentinamente emergono e si inabissano come immerse in una sorta di marea
sonora.
Seguono
la prima dell’Op.7, in Si bemolle
maggiore, in cui la sezione centrale esala accenti inaspettati, e la celebre
n.4 dell’Op.17, in La minore, mazurka
che concede al nostro pianista di sciorinare non poche prestidigitazioni
sonore. Scavalcando il ciclo dell’Op.24 –
al quale si tornerà subito dopo con una altrettanto celebre mazurka, la n.2 in
Do maggiore – si arriva alle n.3 e 4 dell’Op.30,
rispettivamente in Re bemolle maggiore e Do diesis minore, tonalità predilette
da Chopin (Notturni Op.27, primi due Valzer Op.64). È oltremodo curioso
notare come Pletnev sembri riporre grande importanza alle conclusioni: le ultime
battute, per non dire gli ultimi accordi, è come se facessero suonare in lui
una specie di sveglia, cosicché, con una magia o l’altra, queste cadenze e
queste chiuse non corrispondono a un semplice “rilascio di tensione”, ma a un
ultimo raggio colorato proiettato nella sala.
Dopo
la struggente mazurka Op.63 n.2 in Fa
minore e la semplice Op.33 n.3 in Do
maggiore, uscendo per un attimo dalle mazurke con numero d’opus, si incontra la
mazurka in La minore B.134, perlopiù
conosciuta come “Notre temps”, quindi, scavalcando le raccolte dall’Op.41 all’Op.59, una citazione dalle ultime tre: l’Op.63 n.3 in Do diesis minore, dal marcato piglio di mazùr; l’Op.67 n.4 in La minore; e l’Op.68
n.3 in Fa maggiore, che chiude la selezione in un intenso crescendo/allargando.
Senza
soluzione di continuità si passa alla seconda parte del programma, l’imponente Sonata n.3, Op.58.
Se
nell’impromptu e nelle mazurke Pletnev abbia potuto dare l’impressione di un
pianismo “agevole” e simil-salottiero, nella Sonata è fin dalle prime battute
pieno di acumi ed enfasi, con un suono poderoso e appassionato, quasi come se
finora il pianista russo si fosse in qualche modo trattenuto e possa finalmente
servire il piatto forte.
L’arte
orchestrativa e il virtuosismo di Pletnev sono totalmente messi sotto i
riflettori. Già dal primo ponte modulante (nonché nello sviluppo) dell’Allegro maestoso le polifonie sono
chiare e differenziate, e originali – per non dire toccanti – le parti più
cantabili e appassionate, con un suono pieno e sempre meraviglioso.
Lo
Scherzo attacca senza esitazioni,
richiamando, anche se con tocco diverso, l’ebbrezza dell’Impromptu Op.51. Il Trio
non smolla la tensione, anzi tiene vivo il fervore delle parti esterne, e si
distingue per la scelta di valorizzare la linea superiore anziché le terze
della voce centrale.
Nel
meraviglioso Largo il pianista lascia
sconvolti per la varietà di soluzioni timbriche e di pedale, per la continuità
che non cede a molli sedute, e per l’andamento della seconda sezione – futile,
forse, è menzionare gli irraggiungibili pianissimo,
al limite dell’udibile eppure sempre presi con estrema facilità e con un voicing impeccabile.
Chiude
il Presto non tanto, in cui la
perentorietà elegante del refrain e
delle sue riprese si contrappone ai guizzi brillanti delle sezioni a contrasto,
e al bollore febbricitante della coda.
Ben
tre bis per un pubblico mai abbastanza sazio: il celebre Lark di Glinka-Balakirev, la fuga dal Preludio e fuga XXII dal secondo volume del Clavicembalo ben temperato bachiano, e la famosissima Sonata IX in Re minore di Domenico
Scarlatti."
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In attesa di tornare presto con alcune novità, vi saluto!
Andrew
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