Arrivo in anticipo alla stazione. Oggi non è Martedì, non è giorno di mercato, e c'è meno traffico.
Guardo il tabellone: non ci sono ritardi. Quindi attraverso la sala d'aspetto per raggiungere l'obliteratrice, timbro il biglietto e vado al binario numero 3, sul quale, poco prima che arrivi il mio treno, passerà quello per Milano. C'è un silenzio così spesso e "grave" che si potrebbe affettarlo. Non c'è nulla di diverso da una solita mattina in cui vado a Bergamo a studiare o a seguire le lezioni in Conservatorio, ma oggi mi accorgo di quanto distacco esprima questo silenzio. Saremo in trenta persone almeno, e nessuna parla con l'altra. Nessuno si conosce, nessuno si guarda, nessuno si saluta. Trenta anime irrequiete - ventinove senza di me - in attesa di un treno, in piedi come ombre verticali, come spaventapasseri - fra cui alcuni vestiti anche similmente - rubati da qualche campo di grano.
Eppure non credo di esprimere distacco. E al tempo stesso non me ne importa granché. Alcune facce, peraltro, sono le solite, con la stessa espressione svogliata o assonnata. E il mio pensiero, nel frattempo, si dirige verso il treno che sta per giungere: chissà se sarà quello "nuovo", nel quale i posti a sedere sono civili, abbastanza puliti; quello "nuovo" sul quale non devi spararti la musica a palla negli auricolari perché i cigolii e i rumori sono così forti da penetrare anche il timpano. Ho fatto caso, recentemente, che è il treno delle 9.22 quello che solitamente è il più nuovo. Ma non posso darlo per scontato, ho ripreso da pochi giorni la frequenza in Conservatorio, e poteva essere un caso, visto che ho pure preso treni a orari differenti fra loro.
Mi chiedo se ho con me La Recherche di Proust, e La Palude del Diavolo di George Sand. Non ne sono certo, ma mi pare di averli infilati nello zaino, insieme ai libri di Storia della Musica, gli spartiti di clavicembalo e al Volume Primo del Clavicembalo Ben Temperato di Bach - che, però, suonerò e studierò al pianoforte. Sì, sì, ne sono sicuro: adesso ricordo il momento in cui li ho messi, ovvero esattamente prima di aggiungere anche la bottiglietta d'acqua e i fiori di Bach. Molto bene, avrò il mio bel da fare anche nel mio breve lungo viaggio.
Mentre traggo queste conclusioni nel mio universo parallelo e solitario, sbuca il treno mollemente: non è quello più nuovo, peccato. Mi toccherà tenere il volume alto, e possibilmente scegliere tracce non troppo "soft", altrimenti non ascolterò praticamente nulla.
Il treno si ferma, e casualmente una delle porte è quasi davanti a me. Lascio salire cortesemente una signora prima di me. E' semideserto, così mi scelgo un posto il più possibile - o meglio, per quanto possibile - pulito, poso lo zaino sul sedile davanti al mio, ed il cappello di Parigi, la sciarpetta ed il giubbetto al di sopra. Guardo fuori e penso che siamo in Autunno ormai, anche se questa stazione non trasmette certo la poetica malinconia di Verlaine, non ispira certo l'intimità clarinettistica dell'ultimo Brahms.
Guardo il cielo, grigio a macchie e mi viene in mente che potrei ascoltarmi un po' di Chopin: quindi attacco l'auricolare al mio cellulare e comincia la splendida Barcarola op.60, col suo colpo di apertura in pedale di dominante. Estraggo La Recherche, ma sono incuriosito dal magro libro della Sand, che ho iniziato giusto un paio di sere prima, come preambolo al sonno, ed opto per quello.
Una piccola spinta stridente, rumorosa e affaticata come un colpetto di tosse soffocato fa partire il treno. La sola cosa di cui mi accorgo prima che le pagine di carta riciclata della Palude del Diavolo, e le sequele di terze e di seste della Barcarola mi rapiscano in tutta mia accondiscendenza.
E mentre chino la testa sul libro, prima di chiudermi nel mio ivisibile impalpabile uovo di aria, mi accorgo di quanto sia buono il profumo ai legni che indosso: un solo, ultimo palpito di fuggevole disattenzione.
A.