Rieccomi!
Recentemente ho avuto parecchi impegni musicali (di alcuni magari vi parlerò più avanti), ma una cosa su tutte che mi ha emozionato molto è stato rivedere dal vivo la mitica Martha Argerich, dopo vari anni che non mi capitava. Inutile spendere parole che potrebbero suonare ovvie, nonostante corrispondano alla verità, sulla sua bravura incredibile o sul fatto che sia una delle più grandi pianiste esistenti al mondo.
Il concerto, presso la Sala Verdi del Conservatorio di Milano, l'ha vista sia in duo pianistico con Eduardo Hubert, sia da solista con l'Orchestra da Camera Franz Liszt, diretta da un energico Takcs-Nagy nel primo Concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven, Op.15.
Non mi dilungo oltre, condivido come sempre l'articolo di recensione per intero, scritto per Le Salon Musical, che è possibile leggere sul relativo sito a questo link:
"Le Serate
Musicali milanesi vedono un felicissimo ritorno della pianista
argentina Martha Argerich. Al suo seguito c'è la Franz Liszt Chamber
Orchestra, diretta da un brillantissimo Gabor Takacs-Nagy. Il
programma tocca autori diversi, dal pieno classicismo alle modernità
debussyiane; e, a rotazione, si eseguono musiche per organici
differenti: dalla “semplice” sinfonica al duo pianistico e al
pianoforte solista con orchestra.
In apertura
troviamo la Sinfonia K.543
in Mi bemolle maggiore, nota come Schwanengesang
(“canto del cigno”), di Wolfgang Amadeus Mozart. Si tratta della
trentanovesima sinfonia, ovvero quella che precede – di pochissimo,
viste le stesure completate nell'arco dell'estate del 1788 per una
serie di concerti che, ahimé, non ebberò però luogo – le
celeberrime ultime due sinfonie, note ai più come “la 40” e
“Jupiter”.
La
Schwanengesang,
insieme alle sopracitate, costituisce il tentativo ennesimo e
disperato dell'autore di uscire da una situazione economica non poco
infelice causata dallo scarso successo – per non dire proprio
fiasco, quanto meno per quanto riguarda la Vienna del tempo – di
alcuni lavori operistici come il Don Giovanni.
Ed è assai curioso (ma non certo raro per Mozart) il contrasto che
si incontra tale questo momento buio di vita e i contenuti lieti di
questa sinfonia, che non pochi accostano alla Terza di Beethoven,
dandole l'ironico titolo di “l'Eroica di Mozart”.
L'introduzione
in Adagio, dal ritmo
puntato, suona solenne ma anche pomposa ed enfatica, qualità che il
gesto – anche del piede, quasi un passo di danza ricorrente – di
Takacs-Nagy non si risparmiano di sottolineare. L'elemento scalare
citato dai violini costituisce un trait
d'union con l'Allegro
che segue, il quale illude di partire un po' dimesso per poi aprirsi
nel brio tipico del sinfonismo viennese. L'Andante
che segue è scandito anch'esso da un ritmo puntato, quasi di marcia.
Ciononostante è dolce – quasi amoroso
– la melodia ha un ripiego pieno di tenerezza che viene sconvolto
dall'irruenza un po' tragica della sezione centrale, in modo minore,
con tesi slanci dei violini verso l'acuto: forse qui il nostro
compositore non riesce a nascondere la sua inquietudine, per quanto
cerchi di arginarla fra due zone di pace, a tratti quasi fiabesche
(specie nella chiusura). Il Minuetto
prende le fattezze del Ländler,
la sua dialettica molto diretta e quasi rustica, per poi cambiare
volto nel Trio, in cui
la dolcezza dei timbri di clarinetto e di flauto sono protagonisti.
Chiude un Allegro
molto spiccato, si direbbe monotematico, è una scarica di vivacità
che non perde mai di tensione, alternando tratti a “moto perpetuo”
con episodi basati su sincopi e sfasamenti d'accento.
Ineccepibile
e brillante l'esecuzione dell'Orchestra Franz Liszt, e davvero
piacevole l'energia vigorosa ed estroversa – per non dire
contagiosa! – con cui il suo direttore affronta lo spartito.
Cambio di
scena: vengono portati sul palco due pianoforti. Da lì a poco fa
capolino sul palco della Sala Verdi la mitica Argerich, accompagnata
da Eduardo Hubert. I primi brani affrontati sono i 6
Studi in forma canonica Op.56 di Schumann,
nella famosa trascrizione di Debussy.
E' davvero
sorprendente notare come le timbriche personali dei due interpreti
sono praticamente sempre riconoscibili, anche se ahimé non sempre si
sposano bene. Tralasciando l'inizio in tonalità minore del primo
studio, che Martha Argerich interrompe dopo pochissime note lanciando
uno sguardo di intesa al collega, la sensazione che ne ha è di poca
comunicazione efficace fra i due, come se stessero costruendo le loro
interpretazioni al momento: raramente i due pianisti si guardano
anche solo per darsi il medesimo attacco, e non mancano piccoli
episodi di “smarrimento”. Il suono di Hubert è a tratti forse
troppo scandito (soprattutto nel registro acuto e con il pedale
sinistro abbassato) e finisce per nascondere eccessivamente le
risposte della Argerich: si tratta pur sempre di canoni, e gli scambi
tematici necessitano laute o quanto meno eque evidenziazioni.
Decisamente
diverso l'approccio al Prélude à
l'après-midi d'un faune, sempre di
debussyiana penna: sin dall'inizio il bilanciamento è efficace, la
discorsività più fluida – come evitare di menzionare i
meravigliosi arpeggi iniziali della Argerich eseguiti con un suono
quasi liquido e un'uguaglianza invidiabili? – specie nelle sezioni
più polifoniche o politematiche, evocando più volte i timbri della
versione per orchestra.
Torna sul
palco l'Orchestra Franz Liszt con ilsuo direttore per l'esecuzione
del brano Angelus! Pière aux anges gardiens
di Franz Liszt. Estratto dal terzo volune delle Années
de pèlerinage, lo ritroviamo qui nella
trascrizione per l'orchestra dello stesso compositore, e siamo
indotti a chiederci se sia, questa, di molto più bella di quella
pianistica: la coloratura cangiante, la delicatezza e la sensibilità
con le quali il compositore ha distribuito attentamente le parti ai
vari strumenti rendono questo pezzo un autentico gioiello, capace di
farci scordare per qualche minuto della versione originale.
Anche qui la
direzione “danzata” di Takacs-Nagi mette in luce ogni minimo
aspetto della partitura, senza forzature ma in modo gradevole e
perfettamente comprensibile. Non rari i suoi rivolgimenti a singoli
esecutori – in particolare i fiati o il primo violino, che chiude
il brano in una inflessione di poesia fragile e isolata, quasi l'Amen
di un bambino.
Grande e
felice conclusione con il primo Concerto per
pianoforte e orchestra Op.15 di Beethoven, in
Do maggiore.
Martha
Argerich, che ha in repertorio il concerto da quando è bambina (sono
facilmente rintracciabili le relative incisioni), rientra sul palco e
l'orchestra attacca. Immancabile l'energia già menzionata del
direttore che, associata all'estro e alla disinvoltura della –
78enne! – pianista, regalano un'esecuzione brillante e di forte
impatto espressivo.
Sconvolgente
come sempre è constatare quali libertà e varietà di suono siano in
possesso della Argerich, la quale affronta le serrate scritture
beethoveniane, gli episodi cadenzati, le rapide scale e gli arpeggi –
difficile non fare cenno alla cadenza del rondò
conclusivo – come se improvvisasse o scegliesse sul momento quali
fattezze attribuire alla musica, e sempre con un'efficienza ed un
dominio da lasciare senza parole – o esaltare completamente – chi
la ascolta."
Condivido qui le fotografie scattate da Paolo Andreatta.
A presto con importanti novità!
Andrew