Ciao a tutti!
Il mio più recente articolo per Le Salon Musical (che potete vedere sul sito QUI) riguarda una pianista che conosco da ormai un po' tempo e che apprezzo molto: Irene Veneziano.
Ho presenziato a un suo recente concerto al Monastero della Misericordia di Missaglia, nel quale ha suonato musiche di Chopin e Liszt.
Ripropongo il testo dell'articolo:
"La lucida spontaneità di Irene Veneziano
E' con non
poco piacere che questa volta parlo di Irene Veneziano. Conosco
quest'ottima pianista ormai da qualche anno – per essere precisi,
dalla sua partecipazione alla Chopin Competition del 2010, quando si
classificò tra i semifinalisti. In questi 8 anni circa ho avuto
occasione di ascoltarla, seguirla, osservarla da tanti punti di
vista, e in vesti differenti fra loro. Ho visto il suo stesso
pianismo cambiare, consolidarsi e raffinarsi. Sono stato suo allievo
in diverse masterclass, ed ho potuto sperimentare il suo approccio
all'insegnamento, il suo desiderio di comunicare, mettendo a
disposizione le sue conoscenze a tanti pianisti come me.
Il suo
stesso amato Chopin ha cambiato un po' il volto, nel tempo. E questo
è interessante, quasi divertente, se ci faccio caso. Non credo di
aver mai udito esecuzioni “prestampate” dalle mani di Irene,
interpretazioni che non subiscano – felicemente, direi! –
l'influsso del tempo che passa e della maturità musicale che cresce.
Questo mi è stato possibile notarlo, negli anni, ascoltandola
eseguire più volte brani che porta in repertorio dacché la conosco.
Il concerto
di Sabato 22 Settembre, presso quella bellissima cornice dal fascino
quasi decadente che è il Monastero della Misericordia di Missaglia,
più di altro ha riacceso questa consapevolezza: il programma
bipartito fra Chopin e Liszt, ripercorrendo alcune fra le pagine più
note dei compositori, è stata per me una chance di riascoltare Irene
in un recital solistico, cosa che non mi accadeva da un po' di tempo.
Il primo
brano, il celeberrimo Notturno Op.9 n.2
in Mi bemolle maggiore, ha risuonato delicatamente fra le alte arcate
del Monastero. L'interpretazione era morbida, scorrevole ma molto
cantabile, e non ha mancato di sottolineare eloquentemente i vari
arabeschi e le minuscole varianti della melodia principale, per poi
sperdersi in un quel brusìo
di cristallo che è la coda. A seguire, altro brano tanto amato, la
Ballata Op.23 in Sol
minore. Da qui ho cominciato a percepire quella maturazione musicale
di cui ho detto poco sopra. E' interessante notare come Irene abbia
più volte eseguito certi brani senza mai “stancarli”, trovandoci
sempre un pretesto per ricercare sfaccettature nuove, che fossero
piccoli cambi di pedale, esaltazioni di polifonie interne o
raddolcimenti di sonorità in precedenza sentite più epiche, come il
bellissimo secondo tema, nella riproposizione centrale in accordi, in
La maggiore.
Tanto
tragica e perentoria si conclude la Ballata, tanto “sinistramente”
si apre lo Scherzo Op.20
in Si minore, brano che non avevo mai ascoltato eseguire da lei (così
come il precedente Notturno). Dopo i due accordi in fortissimo che
suonano come caustiche annunciazioni, si apre lo scenario agitato e
irrequieto dello Scherzo, fatto di rapidi slanci verso l'acuto ed
indecisioni che portano la linea discorsiva ad infrangersi su accenti
che ne invertono la rotta. Improvvise soste su ottave basse e cupi
frammenti melodici continuamente – quasi ossessivamente –
riproposti, il secondo tema che sembra nascere da un apparente
rasserenato Re maggiore, ma che poi ripiomba nel primo tema, sempre
più in fibrillazione, dopo una cadenza dagli afflati taglienti. Dopo
la riproposta dell'intero episodio, ecco il cambio di scenario: una
tenerissima melodia in Si maggiore, a quanto pare l'elaborazione di
un dolce e nostalgico canto di Natale polacco. Sembra quasi un
dondolo, una culla, questo morbido saltellare fra un'ottava e
l'altra: la musica si crogiuola in se stessa, trova un po' di calore
e fa sbocciare un tema dal tracciato più lineare e declamato,
richiama il canto di natale... E' bene ricordare che Chopin stesso ci
ha lasciato testimonianze sulla genesi di quest'opera nelle sue
lettere. In una di esse, scritta a 20 anni nel Natale del 1830, egli
racconta: «Dal momento che era la Vigilia di
Natale [...] tutto solo, a passo lento, verso mezzanotte me ne sono
andato alla Cattedrale di Santo Stefano. [...] Il silenzio era
assoluto; talvolta solo il passo del sagrestano che accendeva le
candele in fondo al tempio lo interrompeva. Dietro di me una tomba,
sotto di me una tomba... mancava solo un sepolcro sopra di me. Dentro
mi scaturì allora una musica tetra... e sentivo più che mai il mio
assoluto abbandono». “Tetro”: quale
termine migliore di questo per connotare lo Scherzo
Op.20? Quale modo migliore per portare alla
vista quel lato oscuro, tormentato del compositore, che asseriva di
“fare il composto” nei salotti per poi “scagliare fulmini sul
pianoforte” una volta rientrato a casa?
Se il primo
dei quattro scherzi si presenta così inquietante e spettrale, non è
da meno l'interrogativo inizio del secondo, celebre Scherzo
Op.31, che chiude la prima parte del
programma. Le sommesse ma mordenti terzine si alternano a incisi più
appassionati, in registri opposti del pianoforte. Ho sentito tante
volte eseguire questo pezzo da Irene, e anche qui trovo qualcosa di
diverso, di ricercato ma anche di più libero. In particolare la
sezione centrale, negli episodi più sonori, c'è una maggiore
impronta poetica nonostante il ritmo sembri dire diversamente.
Dopo una
breve pausa, Irene torna alla tastiera, aprendo la seconda parte con
Sposalizio,
poeticissimo brano lisztiano tratto dagli Années
de Pelerinage. Il tocco morbido ed il legato
non cedono di fronte alla scelta di un andamento decisamente più
spedito di come lo abbia sentito in esecuzioni di altri pianisti.
Ciononostante, è bello; specialmente la prima parte, delicatissima e
dal suono quasi liquido,
con una pedalizzazione tutt'altro che scontata.
Segue una
delle parafrasi a mio avviso più riuscite fra tutte quelle scritte
da Liszt, ovvero quella sul quartetto “Bella figlia dell'amore”,
dall'opera Rigoletto
di Giuseppe Verdi. I virtuosismi qui contenuti sono risolti in modo
brillante, le ottave ribattute in modo rapido non sono affatto
nervose, gli arabeschi che ornano il tema principale creano ondate
che vanno e vengono sulla tastiera e scintillano discretamente come
piccole perle toccate dalla luce delle vetrate.
Se si pensa
che questo genere di composizioni, all'epoca, nascevano praticamente
in pubblico, dalle
richieste che quest'ultimo muoveva ai pianisti, si resta stupefatti
delle abilità improvvisative – quasi da prestigiatore – di
Liszt. E tutto ciò restando comunque molto musicale e ispirato: non
c'è alcuna forzatura nei passaggi di bravura, non c'è traccia
esibizionista.
Chiude il
programma la focosa e brillante Rapsodia
Spagnola. Irene non manca un colpo nemmeno
qui, e conduce verso la meta in modo impeccabile. Bellissimi gli
effetti della Jota Aragonesa,
fra impeto di danza e rievocazioni nostalgiche, con mille e più
varianti ritmiche e timbriche, prima di esplodere nelle energiche
scariche di ottave alternate e in una coda pomposa che rievoca il
primo, famoso, tema del brano, Folies
d'Espagne."
A presto!
Andrew
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