nonostante sia a casa mezzo malato, dedico un minuto alla condivisione del mio ultimo articolo.
Questa volta ci si distacca da Mozart (anche se non per molto: il prossimo articolo riguarderà ancora il genietto di Salisburgo) per volgere lo sguardo sul giovane pianista Jan Lisiecki, con il suo concerto "notturno", le sue rigidità e i suoi impeti giovanili.
L'articolo, scritto sempre per Le Salon Musical, è questo:
"Le Serate
Musicali milanesi propongono fra gli appuntamenti del loro cartellone
la figura di Jan Lisiecki, pianista canadese – classe 1995 – che
ha visto crescere di molto la sua popolarità negli ultimi anni. A
partire da quando nel 2013 incise l'integrale degli Études
chopiniani (Op.10 e
Op.25 – che gli
valsero un Gramophone Award
come Young Artist of the year
nello stesso anno, risultando il più giovane vincitore dello stesso)
ed ottenne il premio Bernstein, il suo nome iniziò a comparire sulle
locandine delle sale più importanti del mondo: Carnegie Hall,
Konzerthaus di Berlino solo per citarne un paio.
Il concerto
porta inusualmente un titolo: “Night music”, forse con l'intento
svelare un possibile progetto, un trait
d'union dell'intera scaletta. Innegabile la
presenza di composizioni indissolubilmente – già dal titolo –
legate all'atmosfera notturna, come i Nachtstücke
Op.23 di Schumann, il raveliano Gaspard
de la Nuit o la scelta di un trittico di
Notturni
di Chopin. Ma all'ascolto il programma sembra rivelare non soltanto
il possibile momento del giornata cui destinare tali pezzi, ma anche
alcuni aspetti della notte stessa, come contesto di ispirazione,
discussione, indagine.
Si comincia
con i 2 Notturni Op.55
di Chopin. Già dalla postura, dai primissimi gesti, Lisiecki si pone
come interprete assai ponderato e calibrato, anche quando talune
scelte coloristiche o agogiche paiano dettate da maggiore estro o
impeto momentaneo. Tutto è misurato, quasi scelto e progettato
lucidamente: ogni ripetizione del “dondolante” tema del Notturno
in fa minore pare consapevolmente tracciata,
sia nella mente quanto sulla tastiera; l'escursione dinamica non è
particolarmente accentuata, e le varianti melodiche vengono prese più
“di petto” – idem per il Notturno seguente – in stile quasi
Biedermeier che in
senso poetico e arioso. Nel Notturno in mi
bemolle maggiore la scelta di un andamento
alquanto spedito, quasi privo di esitazioni (anche nella fragilissima
coda), traccia come una lunga legatura che abbraccia tutti i suoni e
tutta la partitura. Tradite sono alcune sonorità, specialmente nella
chiusa e nel climax, ove l'esaltazione assume i tratti di un dolce
abbandono.
Seguono i
già citati Nachtstücke
Op.23 schumanniani, forse la parte migliore
del concerto. Qui il contesto notturno sembra essere più legato al
concetto di buio, di indeterminatezza, che di quiete e riposo. Sin
dall'esordio l'atmosfera è misteriosa – quasi cupa – e pochi
sono gli squarci di luce, come piccole fugaci faville di un focolare.
Ad ogni modo, l'esecuzione appare immediata e più centrata, più
convinta e meno “costruita” di quella dei Notturni.
Merita un cenno la seconda sezione del secondo brano, Markiert
und lebhaft, nella quale la scelta di
ammorbidire leggermente l'energia iniziale svela quel tipico tratto
schumanniano di aprire piccoli scenari poetici (Eusebio?) all'interno
di paesaggi decisamente più passionali (Florestano?).
Si passa
senza pausa al celebre Gaspard de la Nuit di
Ravel. Innegabile la padronanza tecnica del brano da parte del
giovane pianista canadese, che finalmente cede a taluni slanci focosi
– soprattutto nella coda di Ondine
e in generale nell'amosfera di Scarbo
– esaltando quel senso “diabolico” di sottofondo tipico di
questa musica. Ciononostante, anche qui la differenziazione delle
dinamiche non è molta, e assistiamo pertanto a una Ondine
che sembra più un alone, una sensuale allusione fra la nebulosità
dei vapori, che a una seducente, ammaliante ninfa fluviale. Le
Gibet è abbastanza centrato nel senso di
“annullamento”, ma Lisiecki sceglie qui di intervenire sul ritmo,
stringendo in maniera evidente (quasi trentaduesimo) ogni figura di
sedicesimo nel canto. Scarbo
risente ancora di una, tutto sommato, bassa escursione dinamica; ma è
di molto più apprezzabile per lo slancio appassionato e
febbricitante: non importano affatto quelle poche note “sporcate”,
perché il bisogno di governare e l'indole alla progettualità
lasciano finalmente aria a un senso del demonico, dell'imprevedibile.
Nella
seconda parte abbiamo, in ordine di esecuzione, i Cinq
Morceaux de fantasie Op.3 di Rachmaninov, il
Notturno Op.72 di
Chopin e il primo Scherzo Op.20
del medesimo autore. Se nel repertorio chopiniano ritroviamo
nuovamente una tendenza al “costruire” le esecuzioni – spesso
con scelte dinamiche non poco discutibili: una su tutte, l'atmosfera
generale dello Scherzo Op.20,
i cui famosi slanci all'acuto sono un po' confusi a causa della
pedalizzazione eccessiva, sempre in diminuendo e non raggiungono mai
un vero sforzato – e al de-poeticizzare
i preziosi ornamenti dei temi principali (come nella ripresa del
Notturno in mi minore),
in Rachmaninov, come in Schumann, troviamo maggiore confidenza: un
interessante Preludio,
dall'Agitato mai
portato al parossismo, ed una conclusiva Serenata,
coloristicamente ben fatta.
Chiude il
concerto un bis, il celebre mendelssohniano Venetianisches
Gondollied in Sol minore."
A presto!
Andrew
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