Con un certo ritardo (una settimana esatta) ho il tempo di scrivere di un bel concerto ascoltato presso la Fondazione Borsieri di Lecco sabato pomeriggio scorso, esattamente prima di quello di Villa Carcano in serata.
L'organico era il duo violoncello e pianoforte, nelle mani degli interpreti Katharina Gross e Matteo Falloni, con un programma veramente interessante e, a mio personale avviso, molto ben strutturato. La prima si è rivelata una sensibile e fine interprete, anche molto "coraggiosa" nel ricercare sonorità ed effetti al limite delle possibilità del suo strumento -che ho veramente gradito molto; il secondo, un buon pianista e interessante compositore: il programma, infatti, prevedeva anche un suo brano, molto ben scritto tanto quanto adatto a fare parte del programma proposto.
In riferimento, appunto, alla scaletta di brani, essa appare come una scelta fine ed interessante di composizioni intrise di colore ed ispirazione popolari di autori di varie zone dell'Europa (ma non solo): stupenda, e meravigliosamente eseguita, apre il concerto la Suite Populaire Espagnole di De Falla, con i suoi umori contrastanti, le sue atmosfere patetiche e sensuali, focose e delicate, la sua ritmica conturbante, così profondamente adesa alla Spagna; quindi Pohàdka di Janàcek, sorta di sonata-racconto, anch'essa intimamente coesa con la terra originaria del compositore, che non manca di permeare con il suo marchio artistico la scrittura dai ritmi inquieti -anch'essi vagamente danzanti, come il precedente autore iberico- e le armonie ricche di chiariscuri, i dialoghi strumentali che richiamano alla mia mente e al mio cuore il suo Kreutzer Sonate Quartet (che letteralmente amo!); subito dopo, le arcinote Danze Rumene del grande Bartòk, che non meritano parole aggiunte se non per le belle esecuzioni del duo, abbastanza fuori dal ordinario -o, almeno, da quel ordinario che io conosco- ma poetiche, grintose ed interessanti; un Intermezzo di Grieg, pezzo a me sconosciuto fino ad allora e per certi versi affine ai suoi Lyric Pieces, spezza l'ardore generale per ripiegare verso un universo più profondamente introspettivo e meditativo.
L'ultima parte del concerto sembra dedicarsi all'afrore del tango argentino: dal già citato pezzo scritto dallo stesso Falloni, Vals argentino -che, per quanto differente a livello ritmico dal tango, ad esso si avvicina per il clima melanconico e struggente misto a "risvegli" più sanguigni- al famoso Le grand Tango di Piazzolla, brano stupendo e strumentalmente assai fine e particolare, inequivocabilmente argentino nelle sonorità, nei pigli appassionati e abbandonati.
Il fatto di avere l'automobile piazzata in un parcheggio disponibile per un'ora al massimo (ma avevo già sforato di dieci minuti buoni!) mi ha impedito di restare ad ascoltare il bis di questo duo così ben amalgamato, che ha davvero soddisfatto il mio bisogno di ascoltare buona e non blasonata musica.
Ho avuto, però, occasione di scattare qualche fotografia, che come sempre metto qui a testimonianza.
Con un senso di gratitudine per il duo, rimando a prossimi futuri post.
A presto,
Andrew
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